Quella di Marco Saltalamacchia, Executive Vice President & CEO del Gruppo Koelliker, è sempre una critica costruttiva e mai pregiudiziale. La passione è il motore che anima il suo lavoro e l'innovazione è uno degli ingredienti principali. Non stupisce infatti che dalla sua mente sia nata l'idea di un hub, che aprirà i battenti in autunno e che avrà come indirizzo via Gallarate 199. Un'officina di idee, una comunità che ruota attorno all'automotive ma che non è solo quello.
Partiamo proprio da qui. Come è nato il progetto?
"Da un lato sentivamo e sentiamo l'esigenza di avere una sede operativa nostra, dall'altra parte volevamo anche fare qualcosa di diverso perché pensiamo che il concetto tradizionale di showroom automotive sia cambiato. Da qui l'idea di creare un luogo in cui raccoglieremo idee, iniziative e aziende che siano accomunate dalla voglia di innovare. Stiamo esplorando il mondo del food, quello del fitness e quello delle start up rigorosamente italiane".
Una sorta di comunità.
"Sì. L'idea agli inizi era quella di creare un hub aeroportuale, hai aerei che vengono da tutte le parti del mondo e una serie di servizi che si sviluppano attorno al prodotto principale che però non sono necessariamente legati tra di loro ma sviluppano servizi per tutti gli utenti che possono essere i passeggeri ma anche le stesse linee aeree".
Il focus principale resta quello della mobilità sostenibile.
"Vogliamo essere anche un punto di riferimento per tutte le realtà impegnate nello sviluppo di idee e progetti per una mobilità sostenibile del futuro, perché crediamo fortemente che la nuova mobilità sia un tema di sistema. Koelliker Hub sarà esattamente questo: una vetrina importante e dirompente dei prodotti importati e distribuiti dal Gruppo, ma anche un luogo stimolante messo a disposizione di tutte quelle realtà che vogliono condividere conoscenza, know how ed idee al fine di sviluppare insieme qualcosa di assolutamente inedito, o che semplicemente cercano uno spazio stimolante nel quale dare forma ai loro progetti”.
A dicembre scorso, in una intervista sempre al sito del Giornale, ha definito il settore automotive in Italia "in fermento", per usare un eufemismo. Da allora è cambiato qualcosa?
"Pochi giorni fa ho partecipato a un evento proposto da Bip e a cui ha partecipato anche un esponente del governo, che ha spiegato con grande orgoglio il veto posto dall'Italia allo stop dell'endotermico e poi ha affermato che gli incentivi sull'elettrico non vanno bene perché la gente non vuole l'elettrico. Ecco, noi gli avremmo volentieri risposto che non è vero. È vero, semmai, che gli incentivi sono fatti male, visto che tagliano fuori il 90% dell'offerta proposta dall'elettrico, e quindi è normale che succeda una cosa del genere. Solo che lui se n'era già andato e ce lo siamo detto tra di noi...".
Vedo che la dose di amarezza è rimasta.
"Penso sia molto più opportuno ragionare a livello europeo che non solo a livello italiano. Parto da qui. Quando ci dicono che l'Italia è un Paese automotive ritengo che sia certamente stato un Paese simile. Il problema è che, al momento, noi stiamo perdendo la nostra capacità con una velocità, ahimé, notevole. Ieri leggevo una statistica riguardante il ranking per nazione dei componentisti legati all'automotive. Su 100 aziende della componentistica, l'unica e prima italiana (italiana tra virgolette) era Marelli al 26esimo posto (che tra l'altro ha la sede in Giappone). Tra i primi posti c'erano invece: Bosch (tedesca), Denso (giapponese), Zf (tedesca), Magna (canadese-austriaca), Catl (cinese), Hyundai, Continental e via dicendo. C'era pure un'azienda irlandese".
E mentre guardava questi dati cosa pensava?
"Che il nostro Paese continua a perdere opportunità. Oggi leggo e osservo il dibattito pubblico. Si chiede a Stellantis di produrre nuovamente un milione di auto. Intanto saranno 15 anni che il nostro Paese non ne produce così tante. Ma per capire meglio il ragionamento che sto per farle le faccio vedere un'altra statistica. Questi sono i mercati automotive dal punto di vista del mercato interno, cioè chi compra più auto totali nel mondo (numeri relativi al 2022). Ecco la classifica: Cina 25 milioni di auto, Usa intorno ai 15, Europa intorno ai 12 (altri 2 in più considerando anche il Regno Unito). Poi vengono altre realtà, come India, Giappone, Brasile e via dicendo. Ebbene, l'industria automotive è globale. Dobbiamo mettercelo in testa. È globale, non perché fa figo dirlo, ma perché quando tu investi miliardi per sviluppare un'auto, non puoi aspettarti che i volumi che devono portare a recuperare i soldi che hai speso tu possa recuperarli soltanto affidandoti al mercato domestico (a meno che il tuo mercato non sia cinese, ma anche lì non sei da solo ma in compagnia di tantissimi concorrenti)".
Cosa è cambiato con l'elettrico?
"Costruire un'auto elettrica è molto più facile che farne una endotermica. La differenza tra le due è la stessa che può passare tra l'industria orologiaia di precisione e il mondo dell'elettronica di consumo. L'endotermico è un percorso di continuo perfezionamento, con sistemi più sofisticati e precisi, mentre l'elettrico coincide invece con capacità di assemblaggio, sviluppo di software, automazione (più dell'endotermico) e standardizzazione (ancora più elevata dello stesso endotermico). Le batterie, di fatto, hanno pochi fornitori, ed è molto plausibile che nei prossimi anni arriveremo ad una loro ulteriore standardizzazione. Così come oggi Ford e GM si sono messe d'accordo sullo standard Tesla per quanto riguarda le prese di alimentazione, è pensabile immaginare un accordo sugli standard di batterie. Alla fine l'auto cosa diventa? Diventa la qualità che ha a bordo, le connessioni che offre, l'intelligenza con il resto del mondo, con i sistemi di gestione del traffico. È irrealistico, in base a ciò, pensare che ancora oggi possa morire una sola persona, quando i sistemi di navigazione di cui disponiamo potrebbero portare a zero questa inaccettabile tassa che paghiamo per la mobilità. Basterebbe che qualcuno prima o poi facesse un passo in questa direzione, ad esempio puntando su sistemi radar capaci di controllare la velocità delle vetture e riconoscere pedoni in certe zone densamente abitate. In tutto ciò noi italiani avremmo parecchio da dire".
Per esempio?
"Posso raccontarle la storia di Microlino, che è un'iniziativa di un signore svizzero geniale, Wim Oubuter, che ha inventato lo scooter a tre ruote. Ne ha venduti 90 milioni nel mondo, poi si è innamorato dell'auto e ha deciso di farne una. L'ha fatta fare in Italia. È costosa, dicono, ma perché? Ha una scocca portante e una tecnologia automobilistica. Non è un “telaietto” ma un'auto vera. Ci sta che costi qualcosa in più. La sicurezza d'altronde ha il suo costo. Tutto ciò mi porta a dire: sveglia, svegliamoci".
Si riferisce all'ostracismo nei confronti dell'elettrico.
"In questa battaglia di retroguardia ci siamo noi, come Italia, e la Spagna. C'è però una differenza radicale tra noi e loro. La Spagna produce 1,5 milioni di auto e ha installati sul proprio territorio costruttori come Renault, Toyota, Volkswagen, Seat. È ovvio che la Spagna, dove c'è realmente una base industriale importante, sia una grande esportatrice verso il continente. Gli Usa con Biden hanno deciso di recuperare il terreno perduto mediante l'Inflation Reduction Act. Hanno così deciso di spingere sul mercato interno, e loro ricordiamo che hanno un grande mercato interno. Certo, non analogo alla Cina, ma quelle circa 12 milioni di auto possono piazzarle all'interno del loro mercato (mentre noi dobbiamo suddividere i nostri tra 26 mercati). La Cina, invece, è un grande mercato di sbocco, nonché il mercato di sbocco dell'industria tedesca, meno di quella italo-francese. È comunque il mercato che ha salvato i bilanci. Per la prima volta, il mese scorso, i produttori occidentali
sono andati sotto il 50% della quota di mercato sul mercato cinese. Per la prima volta i marchi cinesi hanno il 54% del mercato cinese. I cinesi difendono il loro mercato: i dazi sono elevati, e chi importa in Cina deve pagarli. Molti occidentali producono in Cina, ma per lo più endotermico, e cioè un prodotto che i cinesi vogliono molto di meno. Se qualcuno oggi volesse veramente produrre 1 milione di auto in Italia, dovrebbe produrle endotermiche o elettriche? E ancora: se vuoi convincere un soggetto - Stellantis o chiunque altro - a produrre dell'elettrico, ha senso che un governo, un giorno sì e l'altro pure, spari addosso al settore elettrico? Questi sono due grandi temi.
Grandissimi, direi.
"In questo momento c'è un dibattito per aumentare i dazi sui prodotti cinesi. Lo dico contro i nostri interessi (del gruppo Koelliker, ndr), in modo evidente: se dovessero portare i dazi dall'attuale 10 al 20-25%, qualche problemino lo avremmo. I cinesi tuttavia non temono un simile epilogo, anzi se lo aspettano, e hanno già le risposte pronte. La loro risposta è: realizzeremo le fabbriche. È già partita Byd e lo faranno altri. Lo scenario che verranno a produrre loro qui è concretissimo. Mi piacerebbe però vedere anche le aziende europee e italiane andare a produrre in Cina. Un gruppo come Stellantis che ha grandi volumi - lo ha detto Tavares - deve andare in Cina. La Cina è una grande opportunità, ma è ovvio che tu debba andarci con l'elettrico. Però non puoi farlo se, sempre con l'elettrico, sei debole in Europa. C'è poi il rischio di cadere in contraddizione: perché un grande gruppo europeo dovrebbe vendere il prodotto del futuro oltre la Muraglia e offrire in Occidente quello vecchio?
Io vedo la necessità di andare a vendere in Cina, questo sicuramente. È evidente più per Stellantis che per i tedeschi, che peraltro lo fanno già. Stellantis ha un buon piede negli Usa grazie a Chrysler ma ha un piede malfermo sul mercato cinese. Questo vale per Peugeot, Citroen e via dicendo. Dongfeng è ancora azionista del sistema Peugeot, ma questa alleanza non si è mai tradotta in apertura del mercato cinese, come si poteva pensare all'inizio; al contrario, si è tradotta in una logica di fornitura, con loro che producono per conto del sistema Stellantis. Stellantis è un grande player dell'industria europea. Ma il sistema europeo non è formato solo da loro. Il problema non è dare incentivi agli italiani, ma che in Italia si facciano auto che gli italiani vogliano comprare".
E come si fa?
"Faccio un esempio dell'assurdo al quale ci troviamo di fronte: l'ibrido, che già è in fase di retrocessione nei Paesi centro europei, gode di incentivi e soglie più elevate dell'elettrico. La banale richiesta che facciamo noi è: almeno allineate elettrico e ibrido. È il minimo sindacale. Il tema meriterebbe riflessioni più ampie. Non è detto che la mobilità futura debba essere formata da Suv da 60mila euro. Il nostro Paese ha ancora un tessuto infrastrutturale e morfologico di un certo tipo. Abbiamo assistito alla costante crescita della dimensione delle auto, e quando mettiamo a confronto la vecchia e nuova Mini o Cinquecento, ci accorgiamo di quanto siano più grandi i modelli più recenti. Le nostre strade sono però rimaste uguali, in molti casi si stanno addirittura riducendo perché devi fare spazio alle biciclette e ad altro ancora.
Ma allora non avrebbe senso che il governo, pensando al fatto che tutte le nostre città italiane sono antiche e piccole - con centri storici altrettanto piccoli – iniziasse ad incentivare forme di mobilità più compatta? Aggiungo: è qualcosa che potrebbe essere totalmente italiana. Per di più non c'è nessuno in corsa, non c'è una concorrenza accanita. Qualcosa del genere è possibile? Quando l'offerta si crea, la gente risponde (basta pensare alla risposta generata con l'arrivo dei monopattini elettrici). Dovremmo ragionare in questo modo: io sono in Italia, ho i miei centri storici, le macchine non ci entrano più. Posso pensare di chiudere le città oppure fare in modo che ci sia una mobilità gentile, che può essere la bici elettrica ma anche la micromobilità. I cinesi hanno la micromobilità, ma loro quando hanno un problema urbano buttano giù tutto e costruiscono da zero, mentre negli Usa non hanno questi problemi (o almeno, non così enormi). Questi due mercati che fanno auto per loro, il cinese e lo statunitense, non sono dunque interessati più di tanto alla micromobilità. Esisterebbero allora spazi di sviluppo e di innovazione per l'Italia. Insomma, si dovrebbe fare una riflessione del genere.
E con l'elettrico si può fare?
"Sì, perché le barriere all'ingresso si sono abbassate notevolmente. Ci sono tanti esempi, forse occorrerebbe soltanto più lungimiranza da parte della classe politica. Il problema della mobilità è che ne abbiamo poca dove serve e tanta dove non serve. Abbiamo poi poca mobilità pubblica. Da un lato, su Milano, c'è il ragionamento malizioso del “ti do la metro che arriva a Linate, ma ti metto l'area C a 7,5 euro al giorno anche nel weekend”. Ci vorrebbe molta più mobilità, molti più parcheggi, taxi e linee della metro. Io spero che la destra, che oggi è al governo e che ha sempre difeso i tassisti, prenda una posizione un po' più laica sul tema. È il paradosso italiano. Quello dei tassisti è un sistema dove si “ammazzano” anche tra di loro. Era stata introdotta l'opportunità della seconda guida ma l'hanno boicottata, perché loro non sono solo pochi ma si impediscono di circolare nei turni diversi. Per raccontarti un fatto, da via Varesina per andare in centro con il taxi ho pagato 28 euro. Una volta incontrai Albertini e gli chiesi di spiegarmi il potere politico dei tassisti. Gli dissi che i tassisti a Milano erano circa 4mila. Anche moltiplicando quel numero magari per 4, saremmo arrivati a 16mila possibili voti persi. Mi chiedevo quanto pesassero questi voti su Milano. Mi rispose con la giustificazione che gli davano i politici: se esiste un bacino di 4mila voti provenienti dai tassisti, in caso di provvedimento negativo contro di loro, allora bisogna considerare che ogni tassista porta ogni giorno 20 persone, e che parlerà male di quel politico con chiunque".
Torniamo alla Cina, lei è stato lì di recente e ci va spesso. Ci può raccontare cosa l'italiano non vuol vedere o cosa non sa della Cina?
"La Cina dal punto di vista automotive è una potenza, c'è poco da fare. Lì c'è il vero fermento. Sono stato al Salone dell'auto di Shanghai e non sono riuscito ad entrare in nessuno stand per quanta gente c'era. C'è proprio entusiasmo, c'è voglia, orgoglio. L'auto per loro è come era una volta per noi. Puntano sull'auto come sulla casa. Tu vedi questi cruscotti che sono un unico schermo, dal guidatore al passeggero, dove sul monitor hai applicazioni che sono l'equivalente di Netflix e di altre fonti di intrattenimento occidentali. Certo, questo non può essere venduto in Europa ma loro evidentemente pensano già alla guida autonoma. Il presente cinese mi ricorda davvero gli anni '80 dell'Italia. Vedo anche voglia di oltrepassare i loro confini e andare verso l'export. È una realtà estremamente importante.
La Cina si è sviluppata tantissimo perché ha aperto il proprio mercato e c'è stato uno sviluppo industriale poderoso, che oggi vuole andare anche verso l'estero. Alla conferenza di apertura del Salone di Shanghai ero l'unico non cinese presente. Il tono dei discorsi era: la nostra parola d'ordine è globalizzazione. Poi però la loro politica cozza un po' con questa visione.
In generale, in Cina c'è tuttavia un grande potenziale. Loro apriranno le fabbriche qui. Bisognerà accompagnarli in modo che ci sia anche trasferimento di competenze (non dico di tecnologia però...). Ricordiamo che noi, quando siamo andati in Cina, abbiamo dovuto fare le joint venture con aziende locali. Oggi non le chiedono più, e di sicuro non lo chiederemmo adesso noi europei a loro. Penso in ogni caso che le batterie saranno fatte in Europa e che aumenterà la capacità produttiva del continente. I cinesi non hanno il controllo delle materie prime (che sono in mano a cileni e altri Paesi), hanno invece un elevato controllo della trasformazione di queste in batterie. Quando verranno qua è poco realistico immaginare che portino le batterie da Pechino; è molto più facile ipotizzare che le produrranno qua. Sul tema industriale, se ben guidato, si possono ristabilire equilibri. La Cina può diventare mercato di sbocco per la nostra industria, e alla fine le partite si pareggiano. Però penso più all'Europa che l'Italia. Basti pensare che un Paese come la Germania è piccolo nei confronti della Cina. Come Italia possiamo semmai convincere – è un caldo consiglio - a portare fabbriche nel nostro Paese. Lo hanno fatto spagnoli, polacchi, ungheresi: perché noi non possiamo? I tedeschi hanno già il piede in Cina. I 140 miliardi di Volkswagen sono per l'elettrico e si convertiranno presto. Noi, invece, dovremmo identificare delle nicchie. Ci sono realtà interessanti da studiare. Bisogna incoraggiarle. Abbiamo politecnici, università, aziende, uno dei più alti risparmi privati d'Europa. Si tratta di creare le condizioni perché tutto si riunisca. Pensi al fotovoltaico: oggi è tutto un fiorire di parchi fotovoltaici.
Ma perché? Perché qualcuno traccia la strada e gli altri lo seguono. Non voglio puntare il dito sul governo, anche perché gli ultimi 40 anni erano uguali ad oggi. Il problema è che la classe politica è sempre stata molto a breve termine".
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