L’orgoglio italiano ti trafigge senza timori di sorta. Ed è qualcosa che trascende la soddisfazione personale. Riuscire a ottenere la fiducia oltre oceano e impiantare per la prima volta nella storia un centro design Jeep sul suolo nostrano, per la precisione a Torino, è un sigillo che Daniele Calonaci, fiorentino classe 1976, una laurea in Architettura e dal 2018 responsabile design Emea Jeep, ha stampato sul petto. Per la prima volta in 81 anni, una Jeep viene pensata, disegnata e progettata nel nostro Paese. E il merito va sicuramente a lui e alla sua squadra. Calonaci ci accoglie nel suo regno, fatto di modellini stampa di silicone, di disegni, di sketch, di computer, di diapositive e di grafiche. Nello stanzone di Mirafiori, naturalmente, c'è poi lei: la nuova Jeep Avenger, primo suv elettrico del marchio. Colore giallo, o meglio, sun. "Ci abbiamo messo un anno a svilupparlo perché doveva coprire il fondo e dare l’effetto di profondità, il giallo è il colore più difficile da industrializzare perché copre poco e non puoi fare neanche troppi passaggi di verniciatura", rivela Calonaci. Che poi ci fa subito un'importante premessa: “La bellezza di spiegare un veicolo è capire la genesi, è come quando siamo di fronte a un quadro astratto: solo quando conosci la storia ti prende davvero”.
Iniziamo allora, qual è l'idea che c'è dietro Jeep Avenger?
“Avenger è un progetto mirato. Con questo veicolo volevamo colpire un target più ampio, giovanile e anche femminile. È un’auto che potrà piacere molto alle donne perché queste forme più tonde di solito piacciono molto di più a loro, allo stesso tempo non abbiamo abbandonato la robustezza di Jeep, caratteristica che all’uomo piace. Allargare il target era fondamentale e renderlo più compatto possibile per l’Europa”.
Da dove siete partiti?
"Dalla matita, come sempre. All’inizio abbiamo fatto molti clinic con disegni e dimensionali per capire che cosa il cliente europeo volesse da una Jeep. In Europa va per la maggiore un disegno più dinamico rispetto a quello americano che è più squadrato tipo il Wrangler. Alla fine è venuta fuori una formula interessante perché ibrida, il corpo del veicolo è abbastanza boxy, per essere un B-short quando lo vediamo a fianco delle competitor è bello massiccio, però se voi eliminate le due fasce nere che sono il tetto e la protezione inferiore il corpo è molto dinamico e molto muscoloso, quindi abbiamo preso due piccioni con una fava dando ai clienti un veicolo corposo, robusto e voluminoso anche dal punto di vista degli interni perché c’è molto spazio a differenza di molti concorrenti”.
Ci sono dei valori comuni da cui si parte sempre quando si disegna un nuovo veicolo?
“Sì, sono quelli che da sempre ispirano la storia e il mondo Jeep. Per noi parole come freedom, passion, adventure sono fondamentali. Il Dna di Jeep è un marchio tecnico che è nato con la macchina tecnica e non vuole rinunciare a essere tecnico. Ci sono dei tratti distintivi storici di Jeep che rimangono ben saldi nella mente e ci saranno sempre”.
Ci faccia qualche esempio.
“Gli archi passaruote trapezoidali che sono nati nella Willys di 81 anni fa per esigenze tecniche e sono un trade mark di Jeep. L’arco passaruota trapezoidale è fondamentale per il fuoristrada perché quando si è a massima compressione la ruota - soprattutto quella anteriore – girando crea quello che in gergo si chiama patatone che è uno sviluppo di movimentazione nello spazio che proprio perché trapezoidale non va a spaccare la carrozzeria soprattutto se hai dei sassi all’interno”.
Altro?
“Parafanghi sporgenti, protezioni, angoli di approccio, angoli dosso, altezza da terra, sono le prime cose importanti per non sbattere quando sei outdoor. E poi naturalmente i seven slot, la griglia a sette feritoie, che rimane costante ma con Jeep Avenger si evolve”.
Come?
“Se prima serviva come raffreddamento del radiatore, ora nella versione elettrica ha una funzione aerodinamica”.
Aerodinamica a cui avete dato tantissima importanza.
“Questa è la Jeep più compatta mai fatta, è 16 cm più corta e 13 cm più bassa della Renegade. Abbiamo lavorato sull’aerodinamica abbassando molto il tetto perché quello che importa oggi non è solo lo spazio interno ma avere anche un Cx basso senza perdere spazio per le teste posteriori o per i bagagli".
Quali sono i segreti per riuscirci?
“Si lavora sui profili da usare, sulla differenza tra la botte di vetro superiore e il posteriore che deve essere molto sporgente, ci sono delle linee molto taglienti nella parte posteriore dove i flussi aerodinamici vengono allontanati maggiormente dal veicolo perché se il flusso avvolge il veicolo lo frena, poi i profili dei tetti sono più accelerati perché è importantissimo che il flusso scorra".
Cambia qualcosa tra la versione endotermica che sarà venduta solo in Italia e Spagna e quella Bev?
"No, non hanno nessuna differenza né di forma né di ground clearance né di capacità in fuoristrada perché le batterie sono state inserite tra il pianale della combustione interna e i sedili anteriori e posteriori quindi non si perde ground clearance ma non si perde neanche spazio interno”.
Insomma, c'è un design to function maniacale.
“Sì, ogni piccolo particolare è stato studiato per risolvere una funzione e non per pura forma estetica. Jeep è sempre stata design to function e lo sarà sempre. Se vieni dal mondo dell’architettura è ancora più semplice perché molto spesso nelle scuole di design si impara a disegnare il veicolo ma non si sta tanto dietro alla funzione del veicolo invece quando sei abituato a progettare un edificio e a poterci abitare dentro capisci che la funzione è importante”.
Come siete riusciti a ottimizzare le dimensioni?
“Noi siamo stati tra i primi a sviluppare la macchina sulla E-CMP2, la nuova piattaforma elettrificata Stellantis. Così abbiamo chiesto agli ingegneri un’architettura che potesse funzionare su Jeep, compattarla e diminuire al massimo gli sbalzi anteriore e posteriore con un’altezza da terra minima di 200 millimetri che arriva a circa 220 sulla pancia della macchina. In sostanza 20 gradi di angoli d’approccio, 20 gradi di angoli di dosso e 32 di uscita. Per semplificare: tutto quello che succede dalla ruota in giù è uguale a una Renegade 4xe come angoli tecnici, poi la macchina è più leggera quindi il fuoristrada ne avrà il suo vantaggio”.
Avete puntato molto sulla capability.
“Sì, molti competitors tagliano e chiudono la botte vetro, ma così facendo non hai spazio né per i passeggeri né per i bagagli. Noi abbiamo scelto di fare un tetto che ci facesse raggiungere i 400 km di autonomia come richiesto ma che garantisse lo spazio giusto per le teste in altezza e in larghezza e lo spazio giusto per i bagagli”.
In questa vettura poi avete puntato tantissimo sul dare al cliente un senso di protezione a 360 gradi.
“Sì, per esempio abbiamo incassato le lenti, i proiettori non si possono toccare, anche in città sono protetti. Anche il sottoscocca è completamente piatto sia per una ragione di protezione sia per l’aerodinamica. Nelle fasce inferiori dei paraurti anteriore e posteriore sia il fendi sia il riflettore sono incassati e molto alti da terra rispetto ai competitor e quindi è molto difficile romperli. Secondo i nostri calcoli l’80% dei danni che si hanno in città avvengono tra i 5 e i 10 chilometri orari, nei parcheggi o nelle piccole manovre. Nel ciclo di vita di Avenger tutte queste protezioni salvano circa mille euro al proprietario che evita così di doversi riverniciare la macchina”.
E gli interni?
“Il design solido e pulito degli interni, che ruota intorno alla plancia snella, si ispira alla Wrangler. C'è un’unica fascia funzionale orizzontale che comprende tutte le bocchette, la luce ambiente e un touchscreen centrale da 10,25”, visibile sia dal conducente sia dal passeggero perché l'interno della Jeep è sempre democratico e mai orientato esclusivamente verso il guidatore. Abbiamo puntato molto sul concetto di hyper storage. La parte inferiore della plancia è caratterizzata da un guscio portaoggetti aperto. Anche la consolle centrale è stata sviluppata per massimizzare lo spazio utilizzabile. La nuova Avenger è la più capiente della sua categoria: 34 litri di spazio anteriore rispetto ai 15 litri della media del segmento. 34 litri sono 580 palline da ping pong che tu puoi mettere solo nel frontal storage".
Bagagliaio?
"Il volume è tra i migliori del segmento (380 litri) e la funzionalità è testimoniata dall'altezza di carico del bagagliaio che è stato abbassato a 720 mm, dalla larghezza del portellone posteriore, aumentata a oltre un metro, e dall'aggiunta di un portellone elettrico a mani libere, una rarità in questo segmento. Se io butto giù i sedili ci possono mettere 2443 papere di gomma".
Qual è stata la difficoltà maggiore nel progettare questa vettura?
“All’inizio, quando abbiamo chiesto all’ingegneria di accorciare lo sbalzo interiore, è un investimento molto grosso, perché devi riprogettare tutti i crash test. Ci siamo scornati per tanto tempo ma alla fine abbiamo trovato un compromesso”.
Altri ostacoli?
“Raggiungere una buona aerodinamica, non era affatto semplice”.
Di cosa sei più orgoglioso?
"Del volume del veicolo che secondo me è proporzionatissimo e per me, venendo dal mondo dell’architettura, la proporzione è fondamentale perché è quello che ti fa scattare per prima cosa l’amore quando vedi qualcosa di bello, che sia un uomo, una donna, una scultura o una macchina”.
Cosa si prova nel dire: "Questa macchina l’ho disegnata io"?
"Eh, è qualcosa di bello…Ho disegnato tante vetture, poi alcune vengono bene altre meno, ma per questa sono molto contento per essere riuscito a portare Jeep in Europa, qui lo studio non esisteva, quindi far sì che gli americani si fidassero di noi e fare la nuova Jeep in Italia è fantastico. Se poi aggiungi che lo faccio per un brand per cui da sempre ho avuto gli occhi a cuore è una cosa pazzesca".
Cosa c'è nel futuro?
"Non posso svelarlo, ma posso dire che qui al centro design di Mirafiori stiamo lavorando su progetti internazionali".
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