Avoledo: "I generi letterari? Materiale da contrabbando"

Lo scrittore: "Sono come Han Solo, ma nella mia stiva nascondo poesia e fantascienza da trasportare nei noir"

Avoledo: "I generi letterari? Materiale da contrabbando"

Tullio Avoledo non ama essere inscatolato come scrittore e, da oltre vent'anni, cerca di non essere incasellato in un solo genere narrativo, come conferma anche il suo ultimo romanzo Come si uccide un gentiluomo (Neri Pozza, pagg. 384, euro 20). Ancora una volta dimostra di essere un abile illusionista dell'immaginario: «Un editore una volta mi definì un contrabbandiere di generi confessa Avoledo - un Han Solo che nel doppiofondo della stiva del Millennium Falcon trasporta fantascienza e poesia e le contrabbanda nel genere noir. Credo che nasca dal mio essere un lettore compulsivo di diversi generi, senza paura di saltare steccati o di sconfinare. A casa mia, sin da piccolo, la carta stampata non mancava. I gialli di mia madre, i saggi di guerra di mio padre... E poi c'era l'enciclopedia Conoscere, quei volumi colorati e disordinati in cui in due pagine avevi la corte di Bisanzio e in quella dopo i canguri, o la storia del volo. Ecco, se devo cercare l'origine del mio stile eclettico penso che tutti gli indizi mi portino a quell'enciclopedia. Poesia, geografia, storia, Sherlock Holmes e le Cronache Marziane di Ray Bradbury... Tutto entra nel mio immaginario e ci trova casa».

Avoledo ha una convinzione chiara sul ruolo della scrittura nella sua vita: «Dopo vent'anni, anzi ventuno, continuo a pensare che scrivere sia la cosa più divertente che si può fare con i vestiti addosso. Quando scrivo entro in trance e il libro a cui lavoro diventa la cosa più importante, rispetto alla quale il resto della mia giornata è uno sfondo. Mi spaventa a volte la complessità delle trame che invento, ma arrivato alla fine capisco che la storia ce l'avevo già tutta in testa, e dovevo solo attendere che venisse alla luce. Come Gandalf, la soluzione arriva sempre al momento giusto. Parlando con Martin Amis ho scoperto che a suo padre, lo scrittore Kingsley Amis, capitava lo stesso. Una mattina scendeva a fare colazione e diceva: Sapete, finalmente ho scoperto perché quel personaggio ha detto quella cosa».

Ed è proprio pescando nella sua vita familiare che lo scrittore friulano ha trovato il protagonista di Come si uccide un gentiluomo: «Avendo due figli che vivono a Milano, una per studio e l'altro prima per studio e ora per lavoro, passo spesso del tempo in quella città. Un giorno, camminando in zona Porta Ticinese, ho alzato gli occhi e ho visto il palazzo di via Trincea delle Frasche in cui nel libro ha sede lo studio legale di Vittorio e Gloria, lo studio Almariva Fuentes e Contrada dove Fuentes in realtà non esiste... Prima è nato il posto, insomma, e poi il personaggio è uscito dal portone, è andato a ritirare la sua Jaguar d'epoca dal garage lì accanto e ha cominciato la sua avventura nel mondo. Avevo bisogno di un avvocato d'impresa, di uno squalo dei tribunali che poi si converte, per motivi che il lettore scoprirà, alle cause ecologiche. Come lo definisce un suo avversario, è diventato uno squalo vegano. Vittorio ha qualcosa di me: laureato in legge senza voglia, avvocato perché così ha deciso suo padre. Ma avrebbe voluto fare qualcosa di più creativo, e da grande ha scelto di suonare la chitarra in una blues band. Ha un grande senso dell'ironia, ama le belle donne e il vino, e un incidente a 18 anni gli ha scompaginato la memoria, che uno psicologo americano gli ha riorganizzato sulla base del Teatro della Memoria inventato da un umanista rinascimentale friulano, Giulio Camillo. Svagato, politicamente scorretto, tutt'altro che un superman, attraversa la vita e i pericoli con l'eleganza di Fred Astaire. E ha in Gloria Almariva la partner ideale».

Prima di andare in pensione Avoledo si occupava lui stesso di problemi legali in banca: «Il mondo dei tribunali è stato spesso il mio campo di lavoro, e devo dire che offre una varietà di personaggi e di situazioni che hanno fatto la fortuna di molti giallisti. Ci si incontra di tutto, è un acquario di storie da cogliere con il retino e portare nei tuoi romanzi». Fra gli oggetti misteriosi c'è una valigetta Louis Vuitton che sconvolgerà l'esistenza di Vittorio Contrada: «Nei film di pirati in bianco e nero degli anni '30 c'era spesso un forziere. Lo aprivi e i tesori custoditi all'interno scintillavano, illuminando il volto di chi ci stava chinato sopra». Strategico per Avoledo è il tema dell'ecologia: «Sono convinto che le guerre degli ultimi 80 anni siano guerre per la conquista delle risorse, e non più dei territori. In un mondo sovrappopolato, il controllo del cibo, dei combustibili e dell'acqua, soprattutto dell'acqua, è quello che fa la storia. Ora ci si è aggiunto il controllo dello spazio virtuale, che è diventato un altro campo di battaglia. Ma l'acqua, o meglio la sua scarsità, ha già causato guerre nel mondo, e ne causerà purtroppo sempre di più».

E mentre le vicende del Conte di Montecristo sono tornate con successo in uno sceneggiato prodotto dalla Rai, Tullio Avoledo non può che ammettere il suo forte legame con il feuilleton: «Sto rileggendo la biografia di Charles Dickens scritta da quel genio di Peter Ackroyd. I romanzi di Dickens uscivano a puntate, su una rivista pubblicata a Londra. Bene, nel porto di New York la gente di ogni ceto si radunava sui moli per chiedere ai marinai dei velieri, che venendo dall'Inghilterra già lo sapevano, cosa fosse successo alla piccola Dorrit, o a David Copperfield. Pagavano a peso d'oro una copia appena sbarcata dalla nave.

Per la struttura dei miei romanzi mi sono sempre ispirato al feuilleton, facendo in modo che alla fine di ogni capitolo il lettore sentisse la necessità, l'urgenza di leggere il capitolo dopo. Perché è bello che, in un mondo in cui tutti sanno, o fanno finta di sapere tutto, ci sia spazio per la sorpresa, per la gioia infantile di lasciarsi stupire».

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