La baby-kamikaze di Mosca aveva 17 anni

La baby-kamikaze di Mosca aveva 17 anni

Nella foto son due ragazzini. Lei con lo sguardo da bimba e una pistola da cui ti aspetti più uno zampillo che una pallottola. Lui con una barbetta da primi esami all’università e una Makarov assassina. Non erano semplici teppistelli. Non giocavano a far la guerra. Facevano sul serio. Erano autentici «natural born killer», veri assassini nati. E l’hanno dimostrato.
Lui Umalat Magomedov, alias l’emiro del Daghestan, mettendo a segno attentati e assassini a ritmo continuo prima di finire imbottito di piombo dalla polizia che - il 31 dicembre scorso - l’ha intercettato a Kassavhiurt. Lei facendosi saltare su un vagone del metrò di Mosca per vendicarne la memoria. Quella foto quasi grottesca, quell’incrocio di armi e sguardi adolescenziali ci racconta una verità terribile, ci porta nell’intreccio d’orrore e dannazione che fa da sfondo al duplice attentato alla metropolitana moscovita di lunedì scorso e ai suoi 40 morti. In quella foto comparsa ieri sulle pagine del quotidiano russo Kommersant c’è tutta la storia della 17enne Dzhennet Abdurakhmanova, la sposa bambina dell’emiro Magomedov, la fanciulla consegnata a un fanatico per diventarne prima lo strumento di piacere e poi la spietata vendicatrice. La storia maledetta d’una «vedova nera» gravida d’odio, capace d’imbottirsi di tritolo, chiodi e bulloni per scaricare sull’immaginario nemico dolore e sete di vendetta.
Il contesto certo non va dimenticato. Guardando quella foto non possiamo ignorare l’humus di risentimento, violenza, rancore etnico-religioso d’un Caucaso dove l’esercito russo ha condotto due campagne spietate contro i ribelli ceceni. Non possiamo ignorare il clima di diffidenza nei confronti di una comunità islamica considerata collusa con il terrorismo. In quella foto è disegnata però tutta la dannata follia dei militanti convinti di potere far nascere un emirato islamico sulle rive del Caspio e unire Daghestan, Inguscezia e Cecenia sotto le bandiere di un immaginario Califfato. Umar Magomedov ne è l’icona simbolo, il marito padrone pronto a seppellire sotto una coltre nera la giovane sposa, ma entusiasta di farla posare con un’arma in mano e stringerla in un abbraccio che la trascinerà nel suo personale abisso. In quell’abisso lui sguazza felice sin dal 9 febbraio 2009, da quando succede a Omar Sheikhulaev, il suo predecessore appena ucciso dalle forze di sicurezza.
In pochi mesi Magomedov si dimostra l’uomo giusto al posto giusto. Dopo aver spedito al creatore un’imam moderato e filogovernativo, manda a fargli compagnia il ministro dell’interno daghestano Adilguerei Magomedtaguirov individuato e fatto secco da un gruppo di killer durante una festa di matrimonio. Il colpo grosso di Magomedov è però l’attentato messo a segno il 10 giugno durante la visita a Makhachkala, la capitale del Daghestan, del presidente russo Dmitri Medvedev. Con quel colpo, per poco fuori bersaglio, Magomedov si guadagna un posto nel Walhalla dei terroristi caucasici e nella lista dei super ricercati. Da quel momento la sua sposa bambina, la 17enne Dzhennet Abdurakhmanova, si trasforma, idealmente, in vedova nera, diventa la moglie costretta alla clandestinità nell’attesa di trasformarsi nella lugubre e spietata dea della vendetta.
Probabilmente Dzhennet esce da una famiglia che ha sperimentato la durezza della repressione russa, probabilmente è stata condannata al suo ruolo di sposa bambina dal cieco fanatismo di un padre e di una madre felici di trasformarla nella moglie del capo. Di certo il suo non è un destino né scelto, né condiviso, ma la conseguenza d’una vita segnata e disturbata. Una vita capace di ricordare in un sorriso quella di Mallory Knox, l’adolescente maledetta dei Natural Born killers di Oliver Stone. Andate a guardarvi la scena in cui Mickey e Mallory mostrano i fucili e lei tira fuori una lingua irriverente.

Accostatela a questa e rivedrete lo stesso sorriso sguaiatamente incosciente, lo stesso percorso di morte. Nel film di Stone quel percorso insegue i rettilinei d’asfalto della Route 66. Nella tragica realtà di Dzhennet precipita tra le spirali del terrorismo integralista.

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