Bagno democratico per i partiti

Mai come in politica tutto si tiene e una cosa alimenta l'altra in un circuito perverso fatto di decadenza, giustizialismo e autoritarismo. È nelle spire di questo intreccio che il Paese si sta avvitando. Dal 1995 l'Italia è ultima tra i Paesi europei per tasso di crescita ma anche per il livello dei salari che sono, oggi, secondo i dati Ocse, al 20% in meno rispetto alla media europea. In questi 15 anni le famiglie povere sono aumentate (quasi 2,5 milioni) e altri milioni di nuclei familiari ballano sul ciglio delle nuove povertà. Sono quella parte del ceto medio (artigiani, commercianti, professionisti, tecnici o pensionati fino a ieri borghesi benestanti) che ora, con il crollo del potere d'acquisto, sta scivolando lentamente verso quell'area del bisogno dalla quale o si era allontanata o non vi era mai entrata. Nel contempo sotto le luci della ribalta brillano ricchezze sempre più grandi e sempre più appannaggio di pochi. Un paese così drammaticamente sfarinato sul terreno sociale è preda di incertezze e di paure alimentate, inoltre, dalla nuova questione della sicurezza urbana convogliata tutta sulle spalle degli immigrati dimenticando finanche mafia, camorra e 'ndrangheta.
Questa società per risalire la china avrebbe bisogno di una politica alta capace di sfuggire, ad un tempo, al grigio e arido programmismo ed alla tentazione di scendere nel cortile della sguaiatezza e dell'insulto. Una politica insomma capace di offrire un nuovo orizzonte di speranza ad una società in affanno rilanciando insieme valori, obiettivi e un'idea delle istituzioni repubblicane in cui democrazia e governabilità siano tra loro strettamente legate. Sta accadendo l'esatto contrario. Le responsabilità di tutto ciò sono diffuse anche se la maggior parte di esse non possono che cadere, nel silenzio e con le omissioni complici delle altre forze politiche, sulle spalle dei partiti più grandi e sui rispettivi leader, Berlusconi e Veltroni. L'idea geniale del primo di costruire un grande partito moderato legato al Partito popolare europeo si è subito infranta sugli scogli di una legge elettorale «padronale» i cui effetti sono poi stati aggravati dalla compilazione delle liste nelle quali hanno trovato posto «famigli», cortigiani e molte altre cose che oggi rischiano di diventare un boomerang sull'immagine del Cavaliere. Da che mondo è mondo l'eliminazione della democrazia nei partiti e nelle elezioni politiche o si accompagna alla discesa nelle strade dei carri armati o diventa inevitabilmente una palude dove affondano rapidamente progetti e speranze senza che vi sia una classe dirigente pronta a difenderli. Napoli docet.
Veltroni, a sua volta, non ha solo favorito questa involuzione diciamo leaderistica del sistema politico ma l'ha incoraggiata con i propri comportamenti scegliendo tra l'altro come compagno di viaggio Di Pietro. E Di Pietro non si è fatto attendere scendendo subito nel cortile delle istituzioni e rilanciando quel giustizialismo che gli è connaturale e che intercetta gli umori di quella pancia del Paese che da troppi anni e da troppi personaggi viene continuamente sollecitata. E quando la pancia prevale sulla testa, il funerale della democrazia è dietro l'angolo. L'avversario vero di Di Pietro non è Berlusconi ma Veltroni e il suo Partito democratico. Berlusconi è solo il suo strumento e nessuno si accorge che Di Pietro e la sua variopinta compagnia di strada altro non fanno che alimentare la tentazione di Berlusconi di governare a colpi di decreti legge e di voti di fiducia e con l'applauso popolare.
Una tentazione alimentata tra l'altro da quell'intollerabile aggressione di una minoranza di inquirenti i cui eccessi, come sempre accade, producono altri eccessi di segno contrario.
Ecco perché diciamo che tutto si tiene. Si è innescato nel Paese un cortocircuito autoritario per i comportamenti di ciascuno che trovano giustificazione ed alimento nei comportamenti degli altri senza che vi sia qualcuno capace di spezzare questa stupida e deleteria spirale. In questo quadro di deriva democratica ci preoccupa, lo diciamo senza alcuno spirito polemico, la manovra economica del governo che a oggi è solo una spinta formidabile verso la recessione con la conseguente drammatizzazione della delicata questione sociale con tutto il suo corredo di rabbia e di altre tentazioni autoritarie. Può sembrare un'utopia o una sofisticheria intellettuale, ma l'unica ancora di salvezza è un bagno democratico dei partiti, nei quali diversità ed unità possano camminare insieme e insieme trasferire democrazia nelle istituzioni repubblicane.

Atti di governo «autoritari» non sono più tali se assunti da partiti e da un Parlamento visibilmente democratici. Diversamente sarà l'autoritarismo a vincere e a distruggere il Parlamento, i partiti ed il Paese.
Geronimo
ilgeronimo@tiscali.it

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