Le banche chiudono i rubinetti: un'azienda su due rischia il crac

La Cgia lancia l'allarme: negli ultimi tre mesi del 2011, i prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese sono diminuiti dell’1,5 per cento

Le banche chiudono i rubinetti: un'azienda su due rischia il crac

La notizia era nell’aria, ma l’ufficialità è arrivata solo la scorsa settimana con la presentazione del supplemento statistico al Bollettino economico della Banca d’Italia.
Negli ultimi tre mesi del 2011, i prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese sono diminuiti dell’1,5 per cento. Peggio è andata a dicembre, con una contrazione del 2,2. È la Cgia di Mestre a lanciare l’allarme per il made in Italy, dove ormai tutto è troppo piccolo ed è facile farsi strozzare.
Tira una pessima aria, il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, è preoccupato: «Ormai ci troviamo di fronte a un’autentica stretta creditizia. Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito e in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, collassi».
I numeri sono impietosi. Se nel 2011 l’ammontare complessivo dei prestiti erogati alle imprese ha superato i 995 miliardi di euro, facendo segnare una variazione del +3 per cento rispetto all’anno precedente, è anche vero che è stata inferiore alla crescita dell’inflazione che l’anno scorso è stata del +3,3 per cento. «Purtroppo - fa sapere la Cgia - la situazione è nettamente peggiorata nell’ultima parte dell’anno, dopo che il nostro spread ha cominciato a crescere a ritmi vertiginosi. Se negli ultimi tre mesi dell’anno l’erogazione è diminuita dell’1,5 per cento, in dicembre la contrazione è stata del 2,2».
Oltre alla stretta creditizia, nel 2011 le imprese hanno dovuto subire anche un forte aumento dei tassi di interesse che si è tramutato in un costo aggiuntivo per l’intero sistema produttivo pari a 3,7 miliardi di euro. «Tuttavia va ricordato - prosegue Bortolussi - che le ragioni di questa contrazione dei finanziamenti sono in parte riconducibili anche all’aumento delle sofferenze bancarie registrato dalle aziende. Le insolvenze in capo alle imprese italiane hanno toccato gli 80,6 miliardi di euro, con un incremento rispetto all’anno precedente pari al +36 per cento. Questa situazione ha indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti soprattutto a quelle realtà produttive non più in grado di dimostrare affidabilità».
Secondo gli ultimi dati della Cgia l’area geografica che ha più risentito di questa situazione è il Nordovest. «Quasi un’azienda intervistata su due ha denunciato questo peggioramento - conclude Bortolussi - come sta succedendo nel mercato del lavoro, anche nel settore del credito cresce il numero degli “sfiduciati” tra gli imprenditori, ovvero di coloro che hanno deciso, nonostante i grossi problemi di liquidità di questi mesi, di non ricorrere all’aiuto di una banca, l’86,2 per cento degli intervistati ha dichiarato che non si rivolgerà a un istituto nei prossimi tre mesi. Questa situazione rischia di indurre molte imprese, soprattutto al Sud, a ricorrere a forme di approvvigionamento del credito in maniera irregolare, col pericolo di un forte aumento dell’usura e delle attività estorsive».


Il comunista Paolo Ferrero avrebbe la ricetta: «Per garantire il credito alle piccole imprese è necessario sconfiggere la speculazione e nazionalizzare le grandi banche». Ma non era Marx che diceva che le nazionalizzazioni sono l’arma del capitalismo?

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