Barack studia l’enciclica in volo sull’Air Force One

La visita di Barack Obama a Benedetto XVI avviene a tre giorni dalla pubblicazione della nuova enciclica Caritas in veritate, che il Papa ha donato ieri al presidente americano. È quel testo la vera piattaforma per il dialogo tra la Santa Sede e gli Stati Uniti, servono quelle pagine per comprendere lo stato dei rapporti, i significativi punti di convergenza e quelli di divergenza.
Dopo gli anni della grande amicizia tra il Vaticano e George Bush, culminati con la visita di Papa Ratzinger alla Casa Bianca il 16 aprile 2008, giorno del suo compleanno, si è spesso insistito sul raffreddamento dei rapporti dopo che il nuovo presidente ha rifinanziato le organizzazioni non governative abortiste e la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Mentre con Bush c’era sintonia sui temi della bioetica e della morale, e non sull’approccio alle questioni di politica internazionale e sulla «guerra preventiva», con Obama, si è detto, la situazione è apparsa rovesciata: attrito sui primi, consonanza sulle seconde. Eppure anche questa lettura rischia di apparire inadeguata o troppo legata al passato. Non c’è dubbio, infatti, che la Santa Sede abbia tenuto verso il nuovo inquilino della Casa Bianca un atteggiamento attendista. A muovergli critiche, anche fortissime, sono stati i vescovi americani, e qualcuno degli esponenti statunitensi della Curia romana. Ma non sono mancati anche segnali di stampo diverso, meno taglienti, caratterizzati da un’apertura di credito, come ad esempio alcuni articoli dell’Osservatore Romano diretto da Gian Maria Vian, o come il più recente articolo del cardinale Georges Cottier (già teologo della Casa Pontificia, domenicano, tomista, certamente non sospettabile di simpatie liberal), il quale, sull’ultimo numero del mensile 30Giorni ha elogiato il realismo di Obama, sottolineandone l’umiltà e l’approccio non ideologico. E lo stesso nunzio apostolico a Washington, evidentemente su richiesta d’Oltretevere, ha chiesto ai vescovi statunitensi di moderare i toni dei loro interventi per non far apparire la Chiesa troppo «di parte», troppo invischiata nel dibattito politico.
Certo, le differenze relative a quelli che il Papa chiama valori «non negoziabili» rimangono tutte, e anche per sottolineare questo Ratzinger ha voluto donare a Obama una copia l’istruzione Dignitas personae della Congregazione per la dottrina della fede. Sulla difesa della vita umana la posizione della Santa Sede rimane quella di sempre, irremovibile. Lo stesso presidente Usa, nella lunga intervista concessa al quotidiano cattolico Avvenire, ammetteva su questi punti l’esistenza di un conflitto non conciliabile, insistendo però sulla necessità del dialogo a partire da ciò che unisce. Mentre il Vaticano vuole dialogare su tutto, anche su ciò che divide, e in questo senso Obama si è impegnato a ridurre il numero degli aborti.
Ma al di là delle polemiche e delle innegabili differenze di posizioni su questioni sensibili come queste, l’incontro di ieri segna comunque un nuovo inizio. Non è cambiato solo il presidente americano, è cambiato anche il mondo. La crisi economica e finanziaria ha messo in luce il grande pericolo rappresentato da modelli di sviluppo legati unicamente all’avidità e al profitto, sganciati da qualsiasi riferimento morale e dall’attenzione ai Paesi poveri. Sul tema dell’enciclica sociale, che pure mette in relazione lo sviluppo con la difesa della vita e della dignità umana, e sull’approccio ai grandi problemi mondiali c’è sintonia: dalla pace in Medio Oriente alla lotta alla fame e alla povertà; dalla salvaguardia dell’ambiente alle politiche per l’immigrazione, la Santa Sede trova in Obama un interlocutore molto più attento e vicino rispetto a Bush. Un interlocutore deciso a portare avanti, sia per convinzione che per necessità, un approccio multilaterale. Non è un caso che proprio l’enciclica papale – che Obama ha letto sull’Air Force One che lo portava in Ghana – sia stata criticata in questi giorni da esponenti di quel pensiero neocon in auge durante la passata presidenza, quali George Weigel e Michael Novak.

La crisi ha cambiato molte cose Oltreoceano se alla guida dell’American Enterprise Institute, il più qualificato vivaio di quel pensiero conservatore, è stato chiamato un cattolico moderato come Arthur C. Brooks, fautore di un approccio molto più realista e meno radicale ai problemi del mondo.

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