Aprile in America è uno dei mesi preferiti dagli amanti dello sport. C’è un po’ di tutto, dall’inizio della stagione del baseball alle gare della NASCAR ma il vero spettacolo è quello che si vede sui parquet della NBA, dove si inizia a fare sul serio. I playoff sono il momento chiave della stagione, quello nel quale si scrivono storie che resteranno nella mente e nei cuori dei tifosi per sempre. Se i giocatori sognano di entrare nell’olimpo del basket grazie alle prestazioni in campo, talvolta le loro imprese più grandi le hanno fatte altrove, in circostanze spesso impossibili. Nonostante abbia passato 14 anni nella lega, entrando due volte nell’All Star, guadagnandosi il fantastico soprannome di “Tuff Juice” grazie al suo gioco aggressivo, questa guardia del Wisconsin aveva compiuto un vero e proprio miracolo ben prima di vincere il titolo con i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki.
La storia dell’attuale assistente di coach Erik Spoelstra era iniziata in un posto ben diverso dalla splendida metropoli della Florida. A 15 anni era già stato arrestato 15 volte per spaccio di droga, un piccolo criminale delle gang che si contendevano il territorio a colpi di mitra. La sua rinascita è una delle storie più belle dello sport a stelle e strisce. Ecco perché questa settimana “Solo in America” vi porta a Racine per raccontarvi la storia di Caron Butler, lo spacciatore che diventò un campione NBA.
Dalla strada alla galera
Tutto sembrava giocare contro il giovane Caron, nato il 13 marzo 1980 da una famiglia complicata in un quartiere altrettanto difficile di Racine, cittadina sul Lago Michigan a metà strada tra Milwaukee e Chicago. Nato da una madre quindicenne e cresciuto dalla nonna in una casa popolare piena da far paura, a soli 11 anni aveva deciso di imitare uno zio, membro di una gang impegnata nello spaccio di droga. Invece di giocare come i suoi coetanei, Caron passava le sue nottate all’angolo di una strada, vendendo fiale di crack e facendo più soldi di quanto tanti adulti nel suo quartiere guadagnassero in una settimana. La vita di un piccolo spacciatore non era né semplice né pacifica, con il rischio di finire sotto i colpi dei rivali sempre dietro l’angolo. Col tempo si mise nei guai con la polizia, passando sempre più nottate in carcere, fino a quando la sua fedina penale divenne quella di un career criminal, uno di quei giovani afroamericani che, di solito, fanno una brutta fine prima di compiere vent’anni.
Paradossalmente, fu proprio il momento più buio della sua giovane vita a cambiargli la vita. Dopo un arresto di troppo, Caren fu condannato a due anni di riformatorio. Come succede spesso, il tempo passato dietro alle sbarre non fece altro che renderlo un criminale ancora più determinato, fino a quando una zuffa con un altro carcerato non lo fece finire in isolamento. Quelle due settimane passate da solo, in una cella minuscola, a riflettere sulla sua vita per 23 ore al giorno gli cambiarono la vita. Nella sua autobiografia uscita qualche anno fa racconta: “Mi sentivo un’altra persona. Avevo cambiato il modo di vedere le cose”. Ricordando come, dal sedile posteriore di una volante della polizia, avesse guardato la madre piangere lacrime amare mentre lo portavano in prigione, decise di cambiare vita. Invece di combinare guai, passò sempre più tempo sul campo di basket, allenandosi con entusiasmo e voglia di migliorare. Quando uscì per buona condotta dopo undici mesi, Caron Butler era un uomo nuovo, con una gran voglia di spaccare il mondo.
Il coraggio di cambiare
Cambiare dopo essere cresciuto nella casa della nonna, che aveva due lavori per sbarcare il lunario e dove, spesso, i bambini dovevano dormire dove capitava, non era affatto semplice. La tentazione era sempre dietro l’angolo, la strada più facile, quella presa dallo zio Junebug, che era pieno di soldi. Caron aveva però imparato che la droga non portava che guai, galera e tante lacrime. Quando tornò in libertà, il giovane si trovò di fronte ad un bivio: tornare a spacciare o scommettere su sé stesso giocando a basket? Poteva davvero guadagnarsi una borsa di studio? I problemi più grandi, però, vennero dalle sue vecchie amicizie, che non vedevano l’ora di riaverlo sulla strada a spacciare. Caron doveva anche poi evitare certi poliziotti, che ormai lo consideravano una mela marcia, giocandosi tutte le sue carte nell’unico anno di high school che gli rimaneva prima di diplomarsi.
Butler, però, aveva imparato sulla strada una lezione importante: la disciplina. Pur di fare soldi da portare a casa, aveva spacciato droga ma senza mai consumarla. Si dava da fare perché voleva un futuro migliore, fare qualcosa con la sua vita. Quando tutte le strade sembravano chiuse aveva toccato il fondo, per poi trovare la forza di svoltare. Invece di sognare di diventare un gangster, si gettò anima e corpo nel basket, deciso a sfruttare al massimo la sua seconda vita. Riuscire a farlo nella Racine degli anni ‘90, quando gli scontri tra le gang facevano decine di morti al mese, non fu affatto semplice. Invece di crollare, quando si trovò solo con sé stesso, Caron imparò la lezione, mostrando sul campo la determinazione che aveva usato sulle strade. Non succede spesso, ma nel suo caso uscì dal riformatorio deciso a lasciarsi dietro le sirene dei soldi facili, pronto a mettersi davvero in gioco. Sarebbe stata la scommessa migliore della sua vita, quella che l’avrebbe portato sotto i riflettori del mondo.
Una vita grazie al basket
Caron sapeva di dover fare un mezzo miracolo per essere notato da una buona università e si mise di buzzo buono per fare la differenza. Dal 1998 al 1999 cambiò tre high school, fino a quando non finì al Marine Central Institute. Fu proprio qui che riuscì ad attirare l’attenzione di Jim Calhoun, visionario coach degli Huskies dell’Università del Connecticut. Nonostante fosse sovrappeso e non molto tecnico, Calhoun vide qualcosa di speciale in questo ragazzo che giocava con una determinazione feroce. Gli offrì una borsa di studio ma con un caveat: avrebbe dovuto perdere parecchi chili e migliorare dal punto di vista atletico. Il talento di Racine approfittò al meglio di questa opportunità, diventando ancora più agile e, soprattutto, molto più competitivo. Fin dalla prima stagione con la maglia degli Huskies, Butler si fece spazio, prendendosi spesso la squadra sulle spalle e finendo come miglior marcatore e rimbalzista.
Il primo momento chiave nella vita di questo ex spacciatore arrivò nell’estate, quando arrivò la convocazione per la nazionale e la trasferta in quel di Saitama, Giappone per i mondiali 2001 under 21. Portare a casa la medaglia d’oro fu l’ennesima conferma che le cose erano davvero cambiate per lui. La seconda stagione in Connecticut fu ancora migliore della prima, con oltre 20 punti a partita, abbastanza da trascinare gli Huskies ai titoli della Big East sia nella regular season che nei playoff. Con il titolo di MVP e di giocatore dell’anno, il futuro di Caron Butler era ormai chiaro. Ancora prima di finire il college, sarebbe diventato un giocatore professionista. Invece di morire giovane per una sparatoria finita male, questo ragazzo cresciuto nel quartiere sbagliato si era guadagnato un futuro del tutto diverso.
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La NBA e l'incontro con Kobe
Il talento di Racine approdò grazie alla lotteria del draft del 2002 ai Miami Heat, dove fece vedere da subito di che pasta era fatto. Coach Pat Riley si fidava di lui, tanto da metterlo in campo in ognuna delle 78 partite di quella prima stagione, chiusa con una media di ben 15,4 punti e 5,1 rimbalzi, davvero insolita per un rookie. Gli esperti della NBA erano convinti di aver trovato una nuova stella, specialmente quando riuscì ad entrare nella squadra dei migliori giovani della stagione nell’All-Star weekend. Dopo una seconda stagione altrettanto convincente, Butler si sarebbe aspettato di tutto tranne che di dover cambiare maglia, ma fu proprio quello che successe nel 2004. Riley aveva lasciato il posto a Stan Van Gundy ed il nuovo tecnico aveva in mente un’idea meravigliosa: portare Shaquille O’Neal a Miami. Il trade che portò l’ex stella dei Magic nel Sud della Florida vide Butler e Lamar Odom trasferirsi a Los Angeles. Il ragazzo del Wisconsin ci rimase male ma, almeno a giudicare dall’autobiografia di Pat Riley, non fu una scelta semplice: sebbene avesse fatto bene agli Heat, un talento come Shaq non capitava ogni giorno.
Butler passò un solo anno ai Lakers, prima di passare ai Wizards e poi ai Mavericks, dove avrebbe vinto il suo unico titolo NBA. Quello che non poteva sapere è che in quell’anno passato allo Staples Center, avrebbe trovato un amico per la vita: Kobe Bryant. Nella prefazione all’autobiografia dell’amico, il Black Mamba racconta come “Caron ed io abbiamo stretto un rapporto fin dal primo giorno che continua anche oggi che gioca in un’altra squadra. Non succede ogni giorno che mi apra a qualcuno così in fretta ma abbiamo un rapporto speciale, è uno dei miei compagni di squadra preferiti”. Fu proprio Kobe a prenderlo sotto la sua ala protettrice ed a dargli una mano dentro e fuori dal campo. Butler racconta come “il rapporto con Kobe mi ha insegnato tanto. Senza di lui non avrei avuto così tanto successo in carriera”.
La superstar fu tra i primi a convincerlo a raccontare la sua storia in un libro e dargli una mano a promuoverlo: “Non pensavo che la mia storia potesse raggiungere così tante persone. Tanti dei miei colleghi e compagni di squadra, da Kevin Durant a Kobe Bryant a Russell Westbrook mi hanno dato una mano a diffondere il messaggio. Una cosa davvero incredibile”. I due sono rimasti in contatto fino al tragico incidente che costò la vita a Kobe Bryant: “Siamo sempre in contatto, è come un fratello maggiore, lo considero parte della mia famiglia, con cui rimarrò amico molto dopo aver smesso di giocare a basket. Anche lui la pensa così, siamo fratelli per la vita”. Lo spacciatore di Racine e il figlio di una star nato in Italia amici per la pelle. Il basket, alle volte, riesce a fare veri e propri miracoli.
Il campione e il galeotto
Dopo aver vinto il titolo a Dallas, Caron Butler continuò a giocare per diversi altri anni, passando dai Clippers ai Bucks, dai Thunder ai Pistons per finire ai Sacramento Kings. Fu proprio nella capitale della California che decise di appendere gli scarpini al chiodo, il 6 febbraio 2018. Nel giro di pochi mesi, era già tornato nella sua prima casa nella NBA, alla corte di coach Spoelstra, ai Miami Heat, dove si sta facendo strada come allenatore, ma non ha dimenticato da dove è venuto. Oltre a testimoniare giorno dopo giorno che un futuro migliore è possibile anche se nasci dalla parte sbagliata della strada, Butler si è impegnato in persona per aiutare chi si trovi nella sua stessa situazione. Fu proprio in quei giorni passati da solo, in quella cella, che il futuro campione NBA decise di cambiare vita. Non tutti, però, reagiscono allo stesso modo. Ecco perché, qualche anno fa, Caron propose una legge al governatore del Connecticut per limitare severamente l’uso dell’isolamento nelle prigioni, specialmente giovanili.
Butler non ha avuto problemi a parlare dei suoi problemi con la legge, specialmente su quelle due settimane senza parlare con nessuno, il momento più difficile della sua vita. “Stare lì, in quella cella minuscola, ti cambia dentro. Dal punto di vista mentale e spirituale, non sei più lo stesso. Ti senti trattato come un animale”. Invece di gettarsi tutto alle spalle, Caron ha deciso di non dimenticare e provare a fare del suo meglio per aiutare chi si trovi in una situazione del genere. “Guardandomi indietro vorrei dire a me stesso da giovane di avere fede. C’è gente che si preoccupa di chi è in quella situazione. Il cambiamento è dietro l’angolo. Si può riabilitare le persone senza trattare la gente come bestie feroci”.
La storia di Caron Butler non ha avuto l’eco che meriterebbe, venendo superata da quella di tanti campioni che si fanno sedurre dalla celebrità, diventando delle caricature per le quali l’impegno è solo un modo di farsi notare. Il ragazzo di Racine, Wisconsin, è rimasto coi piedi ben piantati per terra e sta facendo del suo meglio per dare una mano agli altri, senza mai dimenticare che le cose sarebbero potute andare in maniera molto diversa.
In tutti gli anni passati nella NBA, niente scandali, niente spese pazze, solo tanto impegno in campo, una famiglia da crescere, una fede da dimostrare più coi fatti che con le parole. Sembra strano, ma è proprio questo ex galeotto che potrebbe dare tante lezioni a chi avesse voglia di ascoltarlo. Cose del genere, inutile dirlo, succedono solo in America.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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