L’incredibile talento per l’insulto del grande Larry Bird

La bandiera dei Celtics è il più grande di sempre nella mefistofelica arte del "trash talking", imparata da bambino sui playground dell'Indiana. Non gli bastava batterti: voleva umiliarti e farti uscire a testa bassa

L’incredibile talento per l’insulto del grande Larry Bird

Mentre buona parte dell’America si appassiona per i playoff del baseball, gli amanti della palla nel canestro aspettano con ansia l’inizio della stagione Nba. Chi ha avuto la fortuna di crescere nell’età dell’oro del basket, però, non può che sentire un misto di disappunto e sconforto. Parte è dovuto al fatto che non siamo più quei ragazzini che rimanevano alzati fino a tardi per vedere le imprese dei propri eroi ma non è solo nostalgia per una gioventù troppo lontana. A noi sembra che manchi qualcosa, che queste superstar fatte solo per acchiappare like siano pallide imitazioni degli eroi del passato. A questo basket manca qualcosa. Datemi del boomer, ma questa Nba politically correct, dove ogni contatto è visto come un crimine, non mi entusiasma affatto.

L’Nba era un posto dove in campo si trovava di tutto, dal sorriso irridente di Magic Johnson alla cattiveria agonistica di un ragazzone dell’Indiana disposto a tutto per vincere. Alla bandiera dei Celtics non bastava batterti: voleva umiliarti, ricoprendoti di insulti mentre massacrava la retina. Nessuno nella storia del basket è stato meglio di lui nella mefitica arte del trash talking ma rivivere quei momenti ci aiuta a capire perché ci manca così tanto l’Nba di una volta. Questa settimana “Solo in America” vi porta a Boston per raccontarvi come il mitico Larry Bird era in grado di distruggere psicologicamente i rivali, prima di sommergerli di canestri.

La dura legge del playground

Per capire cosa lo rendesse unico al mondo bisogna tornare indietro alla sua giovinezza, quando non era ancora conosciuto come Hick from French Lick, il ‘campagnolo’ che avrebbe umiliato decine e decine di difensori nella sua lunga e prestigiosa carriera. Larry Bird, fin da quando aveva 9 anni, iniziò a giocare nei playground in centro. Visto che era parecchio più bravo degli altri bambini, per divertirsi iniziò a giocare con dei giovani neri che lavoravano in un albergo vicino a casa sua. Nella pausa pranzo giocavano sempre qualche partitella e, alla fine, presero sotto la loro ala protettiva quel biondino che amava così tanto il basket. Bird non li ha mai dimenticati: “Tra le partite fumavano sigarette e bevevano birra ma mi volevano bene. Quando qualcuno era stanco mi facevano entrare e giocavo tutta la giornata. Erano bravi, non dei campioni ma mi hanno insegnato tanto. Mi piaceva che andassero sempre d’accordo. Il punteggio non contava molto, gli piaceva scherzare, prendersi in giro di continuo, era divertente”.

Il fatto che un ragazzino riuscisse a reggere il confronto con gente magari 15 anni più grande è già straordinario ma Larry imparò che il bello del basket era prendere in giro gli avversari. Non smise mai, anche quando aveva la schiena a pezzi. Furono proprio loro ad insegnargli come un passaggio no-look possa demolire l’autostima di un avversario e come accompagnare una tripla con una battuta sarcastica possa aiutarti a vincere ancora più partite. Quei cuochi, facchini non dimenticarono mai di aver giocato con chi sarebbe diventato Larry Legend: Bird ricorda come, a fine anni ‘80, incrociò uno di loro ad Atlanta. Lavorava ancora in cucina e volle dirgli che era orgoglioso di quel che aveva fatto in campo. Sono sicuro che erano ancora più contenti del fatto che vincesse mettendo in soggezione i rivali, distruggendoli dal punto di vista psicologico. La legge del playground è spietata: per vincere davvero devi far uscire il rivale dal campo a testa bassa.

50 punti per vendicare il fratello

Appena approdò nella Nba, il ragazzino dell’Indiana iniziò ad imporre la sua legge, stracciando fior di campioni, entrandogli nella testa. La sua vittima preferita? I novellini, i rookie alla prima stagione, anche quando sarebbero diventati dei grandi del basket. La leggenda di Seattle Shawn Kemp imparò subito quanto spietato poteva essere Larry Bird quando si metteva in testa di farti fare una brutta figura. Uno dei trucchetti psicologici preferiti era di farti sapere in anticipo come ti avrebbe battuto, lasciandoti basito quando riusciva comunque a metterti in faccia un canestro. Nel 1989, quando i suoi SuperSonics si ritrovarono di fronte i Celtics, qualcuno fece sapere a Bird che Kemp, anche lui dell’Indiana, aveva battuto i suoi record fatti alle superiori. Diciamo che Larry Legend non la prese benissimo...

In un podcast Shawn Kemp ha ricordato il primo, devastante incrocio con l’alfiere dei Verdi: “Larry mi piantò 50 punti in faccia in tre quarti. Mi prese in giro per l’intera partita. Alla palla a due mi chiese: ‘Sei te quello che ha battuto tutti i miei record alle superiori?’. Gli dissi che era vero e continuò chiedendomi se ero io quello che schiacciava in faccia al suo fratellino. A quel punto capii che se l’era legata al dito”. In realtà Larry non arrivò a 50 punti ma quella volta uscì dal campo con un triple double, 40 punti, 11 rimbalzi, 10 assist. Bird era fatto così, aveva bisogno di odiare l’avversario, di una scusa per motivarsi ancora di più. Gli importava davvero dei record o delle schiacciate in faccia a suo fratello? Chi lo sa. Quella volta, Boston vinse facile – e quello a Larry Bird è sempre importato più di ogni altra cosa.

Un regalo di Natale speciale

All’epoca il trash talking era la norma nella Nba e le rivalità tra giocatori o squadre erano spesso al calor bianco. Come avrebbero avuto occasione di imparare molti grandi campioni, insultare Larry Bird era davvero una pessima idea. Chuck Person, giocatore degli Indiana Pacers, prima della partita al Garden di Natale dichiarò alla stampa che sarebbe andato a Boston “a caccia di uccellini”. La cosa ha senso, visto che il soprannome di Person era The Rifleman, il fuciliere, visto che aveva un tiro davvero micidiale. Larry Bird si mise in testa di umiliare Person ma con ancora più cattiveria del solito. Prima della palla a due fece sapere di aver preparato un regalino speciale proprio per lui. Dopo avergli piantato una tripla in faccia davanti alla panchina dei Pacers, Larry si girò e gli ringhiò “Merry f***ing Christmas” mentre il pallone s’infilava nel canestro.

I Celtics vinsero 152-132 e Bird fece sparire dal campo The Rifleman. Person era un ottimo difensore e certo non aveva paura di rispondere colpo su colpo al campionissimo. Il cacciatore si ritrovò nel carniere, facendo la stessa fine di chiunque provasse a battere Larry al suo gioco. Quella volta, però, fu l’inizio di una vera rivalità tra i due campioni, continuando per un paio di stagioni. Magari non sarà piaciuta alla gente che piace, ma il fatto che non si potessero stare sullo stomaco a noi tifosi piaceva assai.

“Ora vengo e ti segno in faccia”

Alle volte i campioni che si ritrovavano dalla parte sbagliata degli insulti di Larry Bird non avevano paura di accettare il confronto, dando vita a giocate davvero memorabili. Xavier McDaniel, meglio conosciuto come X-Man, ha incrociato le spade contro Bird per sei stagioni ed insisteva nel volerlo marcare ad ogni costo. Nonostante fosse abituato ai suoi insulti, uno gli rimase impresso, tanto che ne parla ancora oggi. In una recente intervista ricorda quel momento, nel finale di partita: “Mentre camminava mi disse ‘ora vengo e ti segno in faccia’. Gli dissi che sarei stato pronto. Appena riprese la partita, mancavano pochi secondi e ci scontrammo: mi allontanò abbastanza da poter mettere il tiro mentre mi riprendevo. Dopo aver segnato era quasi deluso: ‘volevo che il cronometro andasse a zero’. Mancava un secondo alla sirena e questo bastardo si lamentava? Per poco non persi la testa. Era tutto voluto ma era un grande: quando faceva lo spaccone, segnava sempre”.

Invece di prendersela, McDaniel non sfuggì mai al confronto col grande Larry Bird, spinto da una persona inconsueta: sua madre. “Mamma non guarda nemmeno le partite e mi disse che Larry Bird mi aveva fatto il c**o. Quella sera coach aveva messo un altro a marcarlo. La volta dopo feci come se non avesse detto niente. Quando mia madre mi chiama per lamentarsi di come qualcuno mi ha fatto il c**o, a questo punto si fa sul serio. Non gli farò toccare palla tutta la sera”. C’era qualche gomito alto e qualche infortunio in più, ma un’intensità del genere ce la sogniamo ai nostri tempi.

47 punti solo con la sinistra

Alle volte la passione di Larry Bird per lo sberleffo lo spingeva a decisioni quasi assurde, come quando si mise in testa di giocare un’intera partita tirando solo con la sinistra. La gara del 14 febbraio 1986 al Rose Garden di Portland è rimasta nella storia della Nba come il Lefty Game ma ben pochi sanno il perché di questa scelta. Secondo un reporter del Boston Globe, Bird stava già pensando all’incrocio con Los Angeles di qualche giorno dopo, dicendo che voleva “risparmiare la destra per i Lakers”. Su Youtube si trovano filmati di quella mitica partita contro i Blazers, vinta da Boston all’overtime per 120-119: dateci un’occhiata per rendervi conto di quello che riuscì a combinare quella sera Larry Bird. Quei Celtics erano devastanti, anche quando erano costretti a fare a meno di uno come Kevin McHale, riuscendo comunque a dominare ottime squadre come Portland. I 47 punti, 14 rimbalzi ed 11 assist di Larry pesarono non poco.

In realtà Bird usò la sua mano debole per solo 10 dei 21 tiri messi quella sera ma la partita ha assunto contorni quasi leggendari. Gran parte dei tiri mancini erano in realtà dei facili sottomano a tabellone ma non fu una partita memorabile per lui, regalando ben otto palloni a Portland. La cosa davvero memorabile, però, è la spiegazione data dal compagno di squadra Bill Walton: “Aveva fatto quel che voleva fare, c’era il rischio di un calo di tensione. Ecco perché disse a noi ed ai media di voler giocare almeno tre quarti solo con la sinistra. Era fatto così”. Non quando c’era in palio la vittoria, ma per il resto giocare con la mano debole era importante per entrare nella testa dei Lakers, gli odiati rivali di sempre. Alcuni dei tiri messi nel finale di partita erano assurdi, roba che costerebbe il posto in squadra a gente meno talentuosa ma il fatto che li mise nel quarto quarto, quando Boston era avanti di poco, è comunque impressionante. Era una roba assurda ma quanto talento ed arroganza ci vuole per riuscire comunque a portare a casa la vittoria, in trasferta contro un’ottima squadra? Come lui nessuno mai.

Quando Larry predisse il futuro

Quando entrava in trance agonistica, Larry Bird era capace di imprese quasi impossibili, come prevedere con incredibile precisione come sarebbe andata un’azione. Il 12 marzo 1985, i suoi Celtics si ritrovarono a New Orleans per affrontare gli Atlanta Hawks, una partita senza molte cose da dire, visto che la regular season volgeva al termine. Quell’anno Larry era immarcabile ma Kevin McHale gli aveva appena combinato uno scherzetto, battendo il record dei Celtics segnando 56 punti contro i Pistons. Bird non la prese benissimo. Larry iniziò piano, con ‘solo’ 23 punti nel primo tempo ma appena tornò in campo iniziò a segnare come se non ci fosse un domani. Segnava da ogni posizione, in ogni modo, era come posseduto. Quando mise 33 punti in soli 14 minuti, la stessa panchina degli Hawks non riuscì a trattenersi, festeggiando ogni canestro come se l’avessero segnato loro. La franchise della Georgia li multò uno per uno ma, in fondo, li capisco: non capita tutti i giorni di vedere roba del genere.

La cosa veramente assurda è che due giorni prima, Larry aveva corso una gara di beneficenza e non sembrava nemmeno in gran forma. Quello che combinò nel finale di partita, però, è rimasto nelle menti di tutti i tifosi di Boston. Durante una pausa, disse alla panchina degli Hawks che stava per segnare una tripla in the trainer’s lap, ovvero in braccio all’allenatore. Voleva chiaramente dire che stava per tirare da molto lontano ma, per uno scherzo del destino, finì davvero in braccio all’allenatore. La storia l’ha raccontata Doc Rivers, che all’epoca giocava ad Atlanta: “Ci disse in the trainer’s lap mentre ci passava davanti ed aggiunse qualcosa tipo ‘a chi devo tirarla in faccia’. Rickey Brown corse a marcarlo e lui mise un bell’arcobaleno alto che s’infilò nel canestro. Rickey non riuscì a fermarsi in tempo e lo spinse proprio in braccia all’allenatore. Fu un caso ma quella sera sembrava come se potesse davvero prevedere il futuro”.

Dopo aver vissuto cose del genere come fai ad appassionarti per le giocate di gente che sembra più preoccupata di conquistare un like in più che di vincere titoli? Il passato è passato ed indietro non si può tornare, ma il basket moderno avrebbe molto da imparare

dai grandi di una volta. Le belle giocate vanno bene per gli highlights, per fare soldi ma per emozionare chi ama davvero il basket ci vuole cuore, coraggio e, perché no, qualche insulto al momento giusto.

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