Le attuali proteste di sinistra contro la lesione della libertà di stampa sono espressione di una concezione post sovietica della libertà: strillano quando sono chiamati in causa loro. Non muovono un dito, anzi inarcano il sopracciglio quando si tratta di difendere il diritto di libera informazione e libera critica di quelli che non la pensano come loro. Ma c’è un modo non ipocrita per difendere la libertà di stampa ed è quello di aderire alla proposta, che io faccio, di chiedere che sia abolito il reato di diffamazione a mezzo stampa, lasciando che le controversie in tema siano competenza del tribunale civile.
In questo modo il giornalista e il direttore responsabile del giornale non rischiano di andare in galera, rischiano di pagare un indennizzo a chi si sente diffamato. E, automaticamente, della eventuale diffamazione rispondono in sede civile, in solido con loro anche l’editore del giornale o libro che contiene la presunta diffamazione. Infatti il veicolo con cui essa si attua è il testo stampato e diffuso nelle edicole e librerie o trasmesso in rete o via radio e tv. Invece di solito l’editore non è responsabile del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto la responsabilità penale è strettamente personale sia per la nostra Costituzione, sia per ogni Stato che rispetti il diritto dell’individuo alla sua integrità.
L’editore, rispondendo di sua tasca, consentirà a chi dirige i giornali e a chi vi scrive o ne viene intervistato, di sentirsi più libero, di esprimere le proprie opinioni e informazioni. Questa abrogazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, per quanto riguarda i direttori dei giornali, appare necessaria per rispettare la Costituzione italiana, che sancisce che la responsabilità penale è personale. Infatti, la norma che stabilisce che il direttore è penalmente responsabile di ciò che è scritto nel giornale è stata fatta nel dopoguerra, quando i giornali erano di poche pagine, in un clima di tensione. Si ipotizzava che il direttore potesse leggere tutto ciò che veniva scritto nel suo giornale e, stabilendo questa presunzione, si pensava che i giornali non avrebbero esagerato nelle polemiche.
Ma oggi, con giornali di molte pagine e parecchie edizioni, questa presunzione urta contro la realtà. In un giornale si comincia a lavorare alle dieci del mattino e si finisce all’una di notte. Molti giornali hanno diverse edizioni regionali, arrivano notizie da tutto il mondo, in tutte le lingue, tutte le ore (dati i diversi fusi orari), da tutti i media. I giornalisti fanno i turni. Si dovrebbe invece supporre che il direttore stia in redazione dalle dieci del mattino all’una di notte, tutti i giorni della settimana, controlli tutte le pagine e le edizioni, verifichi tutte le fonti che i redattori usano. Il che è materialmente impossibile. Dunque è incostituzionale la responsabilità penale del direttore di giornale, in quanto responsabilità oggettiva e non soggettiva. Dunque l’abolizione del reato di diffamazione a mezzo stampa, eliminando la responsabilità penale del direttore, e lasciando solo quella civile sua e del giornalista e dell’editore, consente di fare un grande passo avanti verso la vera libertà di stampa, che non ha bisogno di giudici e poliziotti per sussistere.
Si potrebbe obbiettare che ciò crea una disuguaglianza in quanto il reato di diffamazione esiste al di fuori della stampa. Ma è facile rispondere osservando che la libertà di stampa è affermata dalla Costituzione e che una democrazia non può sussistere senza tale libertà. E si possono aggiungere due ulteriori argomenti a favore di questa tesi liberalizzatrice, ossia che chi si sente diffamato, quando fa causa, ha un obbiettivo degno di tutela, che è il ripristino della sua onorabilità. Ora i giornali, essendo mezzi di informazione di massa («mass media», si dice in inglese), nel caso di condanna in sede civile, possono rimediare alla lesione alla reputazione pubblicando la rettifica con pari evidenza. Inoltre i giornali, avendo un editore, possono rispondere patrimonialmente. E gli editori sono molto sensibili alla tasca in cui tengono il portafoglio, anche quando è a sinistra, come quella degli editori di Repubblica.
Anche i giornalisti della sinistra al caviale e quelli vicini alle banche tengono molto al portafogli.
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