Basta superfluo: il vero lusso è essere sobri

Lo so, «sobrietà» non è una parola eccitante, può far venire in mente rinunce magari piccole ma tristi, calze rammendate, acquisti alimentari nei discount, lunghi viaggi in vagoni puzzolenti di seconda classe, pensioncine con camere anguste e muri di carta che si sente tutto, spiagge sporche affollate di ragazzini urlanti e grasse signore che straripano dai costumi... No, non è questa la sobrietà che intendo, mi viene da piangere solo a pensarci. Per me sobrio significa essenziale e la sobrietà risiede nel saper gustare la bellezza che costa poco o addirittura niente.

Non è un cultore dell’essenzialità, ad esempio, quel mio amico munito di Bentley o Rolls-Royce (scusate la vaghezza: tendo a confonderle) che non può soggiornare in piccole locande di charme ma è obbligato a prenotare negli impersonali Grand Hotel di catena (quelli zeppi di russi e di texani) perché soltanto lì ci sono i garage adatti per il suo monumento a quattro ruote. Molta spesa e poca resa: potrebbe essere lo slogan di tante forme non troppo furbine di lusso. Come i gioielli preziosi che sembrano fatti apposta per attirare disgrazie, rapine, scippi. Se passeggiate per Napoli con fare da turisti e un Rolex al polso rimpiangerete presto di non avere fatto la scelta più francescana che ci sia: non un orologio economico ma nessun orologio (oggi per sapere l’ora basta e avanza il telefonino). Il filosofo francese Thierry Paquot ha sintetizzato in tre parole un suo concetto di lusso talmente diverso da quello briatoresco e calciatoresco attualmente in auge che a me sembra il suo esatto contrario, appunto la sobrietà. Le parole sono: Spazio, Tempo, Silenzio. Cominciamo dall’ultima? Io settimana prossima onorerò il Silenzio andando a ritirare la bicicletta nuova, scelta dopo una lunga ricerca: volevo una bici classica, di colore nero, con i freni a cavo (i più dispendiosi freni a bacchetta specie quando piove sono lì per bellezza), senza cambio (che in pianura serve solo ad aumentare costi e pesi) e prodotta da un’azienda di proprietà italiana (per noi patrioti è un dettaglio importante, siccome negli ultimi anni molte marche gloriose sono state assorbite da gruppi svedesi o peggio ancora turchi). Bene, volete sapere qual è il prezzo della mia bicicletta ideale? Soli 370 euri, infinitamente meno di una moto fracassona.

Con la mia Adriatica sfreccerò silenziosamente e salutarmente, ogni sera, nel parco della Cittadella vicino a casa. Ingresso gratuito, a differenza delle palestre che sono costose e inoltre rumorose (chissà perché la gente è attenta ai muscoli e non ai timpani). E il Tempo? Io me lo godo nelle mattine del fine settimana: chi come me ama poltrire a letto risparmia moltissimo rispetto a chi si alza presto per correre a imbottigliarsi in qualche autostrada.

Per concedersi l’agio dello Spazio anche nei giorni feriali, e sempre senza spendere un euro che sia uno, bisogna avere la pazienza di aspettare luglio, quando nelle città la presenza umana diventa rarefatta: niente più file in posta o al supermercato, niente più problemi di parcheggio... Finalmente si potrà andare al ristorante senza prenotare, decidendo all’ultimo momento (piccola parentesi: con tutta la crisi di questo mondo sto facendo fatica a trovare tavoli liberi anche il martedì o il giovedì, e non a Riccione e Portofino ma a Parma e Reggio Emilia). Siccome sono finito in zona mangia & bevi vorrei parlare del lusso più stolto riscontrabile oggi in Italia: il bollicinismo. Sembra che i connazionali non possano più vivere senza champagne e spumanti, forse ignorano che sono i vini più industriali e chimici in assoluto, nel 99% dei casi addizionati e nel 100% sopravvalutati.

Io d’estate metto in frigorifero Lambrusco di Sorbara, Chiaretto del Garda e Cerasuolo d’Abruzzo (delle migliori aziende, ovvio): sguazzo nel gusto però spendo poco perché sono tipologie snobbate dagli smargiassi che giudicano il vino dal nome e dal prezzo. Così resto sobrio anche se bevo un bicchiere di troppo.

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