Bauman, i mille volti della paura "liquida"

Intervista al sociologo polacco che nel suo ultimo libro affronta un tema cardine della postmodernità: l'angoscia indefinita che fa vedere pericoli ovunque. "E' il carattere fluido delle nostre ansie che le rende difficili da definire"

Bauman, i mille volti della paura "liquida"

Milano - Zygmunt Bauman è gentilissimo, vigoroso nonostante l’età, incapace di parlare con una persona senza instaurare un rapporto umano. Ha una intelligenza acutissima che si muove su ogni cosa, niente resta fuori dalla sua curiosità, e oserei dire carità, onnivora. Ebreo polacco, durante l’invasione nazista ha combattuto con l’armata rossa, meritandosi la croce al valore. Nella Polonia comunista, ha sostenuto tesi critiche verso il governo, ed è stato costretto all’esilio nel 1968, rifugiandosi prima in Israele e poi a Leeds, dove ha insegnato sociologia fino al 1990. Da quella data inizia il suo periodo più creativo. Decine di libri che analizzano la nostra condizione postmoderna attraverso concetti chiave che hanno fatto epoca: modernità liquida, amore liquido, vite di scarto. L’attualità si distingue dal passato per avere perso solidità. Viviamo in un periodo di incertezza, disimpegno politico e indifferenza morale. La libertà privatizzata ha come volto oscuro uno strisciante disinteresse per la sfera pubblica, e una instabilità angosciante. Come continuazione e approfondimento di questi temi si può leggere, almeno in prima battuta, il suo ultimo libro, Paura liquida (Laterza, pagg. 227, euro 15). Nell’uomo esiste una particolare sensibilità al pericolo, che cambia la visione della vita, anche in assenza di una minaccia reale. Nella nostra epoca questa paura latente, potremmo dire liquida, è assai diffusa. «Paura - scrive Bauman - è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare per arrestarne il cammino o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla». La paura esiste dappertutto, può essere un uomo con una kefiah, oppure un ritardo della figlia, o una strada sconosciuta, o una piccola recessione in borsa, o un virus isolato in Indonesia. Ognuno di noi conosce queste paure, e non riesce mai ad affrontarle, se non emotivamente. Il mondo sembra una grande incubatrice di paure, che paralizzano e provocano visioni distorte della realtà. Il saggio di Bauman prospetta una nuova coscienza, che non annulla le cause, ma le incornicia in un quadro di consapevolezza.

«Questa mattina mi sono svegliato con l'angoscia...», un tempo erano parole rare, oggi si sentono spesso dalle persone con cui si ha confidenza. Siamo davvero schiavi delle paure? E queste paure perché sono così indeterminate e come ci cambiano il modo di vedere il mondo?
«Reali o immaginarie, genuine o fittizie - le paure sono tante. L’aspetto più spaventoso delle nostre paure è che noi non sappiamo per certo, né lo potremo mai sapere, quali sono genuine e quali inventate: non sappiamo cos’è realmente spaventoso e cosa è stato inventato per tentarci o costringerci a spendere più soldi in cose di cui non abbiamo veramente bisogno, o per dare il nostro sostegno a politici che non hanno necessariamente a cuore i nostri interessi... Le paure provengono virtualmente da qualsiasi luogo: lavori instabili, competenze inaffidabili, le poste nel gioco della vita che cambiano costantemente, fragilità delle relazioni. Tutte queste paure si alimentano l’un l’altra e si rinforzano, combinandosi in uno stato mentale e di sensibilità che possiamo descrivere solo come “insicurezza ambientale”. Ci sentiamo insicuri, vagamente minacciati, senza conoscere l'origine delle nostre ansie, insicuri su cosa fare... Le paure sono, per così dire, “fluttuanti”, “dis-ancorate”. Non dobbiamo meravigliaci se in tali condizioni siamo, per così dire, “psicologicamente pronti” al disastro - ci aspettiamo che il mondo sia un contenitore pieno di pericoli. Continue notizie di nuovi oltraggi forniscono enormi carichi di ansia inespressa che aspetta solo un punto di sfogo».

La paura più temibile è la paura priva di un indirizzo e di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. Ma come possiamo estirparle, vederle cioè nella loro vera ed evanescente consistenza?
«Il loro carattere “liquido”, difficile da definire e analizzare, rende le nostre paure inclini a essere trasformate in capitale politico e/o commerciale - che i politici e i commercianti di beni di consumo sono tentati e ansiosi di trasformare a loro profitto. La ben nota insistenza a “fare qualcosa” riguardo le cause (ignote) dell’ansia, a combattere contro le minacce (invisibili), può essere deviata e focalizzata su oggetti non necessariamente responsabili del sentimento di insicurezza, quanto invece convenienti dal punto di vista del profitto politico o commerciale. Questo slittamento non serve a curare l’ansia e quindi non diminuirà il rifornimento del “capitale di paura” a disposizione per l’impiego politico e commerciale - ma servirà a vendere bene i servizi dei competitors del potere di Stato e dei venditori di beni collegati alla sicurezza, e (per un breve periodo di tempo) a scaricare un po’ di tensione. Quando le paure pubbliche diventano un capitale allettante per i profitti, le possibilità di estirparne le radici sono molto poche; al contrario, i governi e i manager del marketing sono interessati a tenere intatto il volume delle paure; anzi, se possibile, a innalzarlo».

La paura liquida sembra situarsi nella modernità liquida rendendola ancora più incerta, frammentaria, precaria. In qualche modo, l’antico spettro delle “forze della natura” sembra moltiplicato. E il disegno che prevede il progresso inarrestabile dell’uomo, esaurito.
«I pensatori della rivoluzione moderna avevano due ossessioni schiaccianti: riorganizzare la società secondo i principi della ragione e sottomettere la natura al controllo umano. Speravano che realizzando quelle ambizioni la vita umana avrebbe smesso di essere “cattiva, brutale e breve”. Gli umani sarebbero finalmente stati liberati dai rischi della contingenza e protetti contro i colpi del fato e delle catastrofi - sia che queste fossero causate dall’uomo, che dalle forze della natura, notoriamente cieche e imprevedibili. Il “progetto dell’Illuminismo” rimane incompiuto, come ribadisce Jürgen Habermas; ma oggi abbiamo altri buoni motivi per credere che potrebbe essere non-realizzabile. La Natura non è stata domata, sottomessa alla volontà umana e indotta a servire gli interessi umani; se le azioni umane sono servite a qualcosa, è a rendere la natura ancora più minacciosa e meno prevedibile. Ancora peggio - i tremendi pericoli che minacciano il futuro dell’umanità oggi non sono che i risultati accidentali e inattesi della lotta dell’uomo per il controllo sul fato. L’Illuminismo si aspettava di rendere la natura così ordinata, gestibile, docile e obbediente alla volontà e alla ragione umane così come sperava potessero diventare le azioni umane; definendo le aspettative e annientando le speranze, gli effetti sulle attività umane sono diventati tanto grandiosi e indomabili, ma anche tanto capricciosi e sinistri, quanto il temuto e odiato comportamento delle “forze cieche della natura”.

Anche la paura sociale sembra trasformarsi, le lotte per l’uguaglianza hanno esaurito la loro corsa, non se ne parla più. Ma è inesauribile la produzione contemporanea di vite di scarto, che sono da una parte un enorme capitale di ribellismo e quindi generano paura, e dall’altra sono loro stessi soggetti di paure e angosce di esclusione.
«La lotta per la giustizia sociale è sempre stata una lotta per la liberazione dalla paura... Ciò che ci spaventa è qualcosa di anormale, fuori dall’ordinario, non necessario, privo di un buon motivo: sono gli stessi tratti che caratterizzano l’“ingiustizia”. Man mano che i Paesi e le popolazioni dalla povertà auto-inflitta diventano più ricchi, le paure più terrificanti e le più esecrate ingiustizie tendono a slittare dalla sfera della sopravvivenza fisica a quella della dignità umana e dell’autostima. Ciò che allora temiamo di più è la prospettiva di essere rifiutati. In altre parole, fa slittare il problema della sopravvivenza sociale; preservazione dello stato sociale ereditato o acquisito. Nella costellazione attuale delle condizioni, e anche delle prospettive anelate, di vita decente e piacevole, la stella della parità brilla ancora di più, mentre quella dell’uguaglianza scompare.

La visione di condizioni di vita uniformi e universalmente condivise viene rimpiazzata da quella della diversificazione illimitata; e il diritto a diventare uguali viene sostituito dal diritto di essere e rimanere diverso senza che per questo vengano negate dignità e rispetto».

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