Bava: nel mio horror le aspiranti veline diventano salsicce

Maurizio Cabona

da Trieste

Qui un esteta come Johann Winckelmann arrivò e fu ucciso. Da qui un imperatore come Massimiliano d’Asburgo partì e fu ucciso (in Messico). È dunque coerente che cinema del terrore e dell’orrore convergano a Trieste con quello di fantascienza, nel festival Scienceplusfiction, che ieri ha onorato Lamberto Bava col premio alla carriera, conferitogli sotto l’egida di Urania, collana mondadoriana di libri da edicola. Nell’occasione è stata proiettata la versione in pellicola de La Venere di Ille (1978), prima regia di Bava, firmata col padre Mario, ispirata dal racconto di Mérimée, sceneggiato da Cesare Garboli con Lamberto. Sono state mostrate anche alcune scene dei suoi nuovi film: Ghost Son («Figlio fantasma»), con Laura Haring, John Hannah e Pete Postlethwaite, che uscirà in gennaio; e Torturer («Torturatore»), che uscirà direttamente in dvd, interpretato da Elena Burica, Simone Corrente, Carla Cassola ed Emilio De Marchi.
Signor Bava, la Cassola e De Marchi li ha scelti per omonimia letteraria?
«No. Non avevo notato che nomi e cognomi fossero uguali a quelli degli scrittori».
Del resto, a giudicare dal titolo, Torturer non è un film intellettuale.
«No. Evoca i film dell’orrore degli anni Settanta e Ottanta, che incassavano molto».
Trama?
«Ragazze rispondono a un annuncio: sognano di diventare veline e diverranno salsicce».
Dalla tv-spazzatura alla tv-salumeria!
«È un invito a non sognare di fare le veline».
Però lei in tv ha fatto cinque serie di Fantaghirò, Caraibi, L’impero, La principessa e il povero, Desideria e l'anello del drago, Sorellina e il principe del sogno...
«E ora torno al cinema. In tv ormai farei solo ciò che altri vogliono e niente di ciò che io vorrei. Dopo tanti anni di mestiere, preferisco evitarlo».
Dopo tanti anni di mestiere, dodici dei quali consecutivi di tv, il cinema com’è?
«Bello. Ho girato Ghost Son in inglese, in Sudafrica, con Laura Haring di Mulholland Drive, John Hannah di Sliding Doors e Pete Postlethwaite di Nel nome del padre».
Girare in inglese un film italiano che in Italia sarà doppiato ma avrà il titolo in inglese. Strano, no?
«Per vendere un film all’estero, occorre girare, in presa diretta, in inglese. Quanto al titolo per l’Italia, è ormai d’uso lasciare quello originale».
Mi racconti Il figlio fantasma.
«È un amore oltre la morte: lei resta vedova, diventa matta oppure sogna soltanto di far l’amore con lui. E rimane incinta...».
Necrofilia.
«Suspense».
Lei è di una famiglia sanremese nel cinema dalle origini.
«Già mio nonno Eugenio, scultore, inventore, fotografo, lavorava per il cinema. Mio padre Mario ha continuato la tradizione, come operatore, poi come regista».
Suo padre aveva lavorato per De Robertis e diceva che a lui Rossellini doveva tutto. Joe Dante invece ammette di dover molto a suo padre.
«La maschera del demonio (1960, dvd Rhv) ha infatti influenzato gli americani. Dopo quel film mio padre ha avuto da loro molte offerte di lavoro».
La maschera del film...
«...L’aveva scolpita il nonno».
E quella, simile, nella Chiesa di Michele Soavi (1989) è una citazione?
«Forse, perché il film è scritto e prodotto da Dario Argento, che conosce bene il cinema di mio padre... In quel caso però la maschera è di Sergio Stivaletti».
Attore di suo padre, Christopher Lee ha lavorato anche per lei.
«In Sorellina. Con mio padre, Lee ha girato tre film. È un vero signore d’altra epoca: arriva elegante sul set, indossa l’abito di scena e, da grande attore, diventa subito cattivissimo».


Un altro grande attore che l’ha colpita?
«Ho avuto Max von Sydow nella Principessa e il povero. Si crede che persone di quel calibro arrivino in limousine: arrivano invece coi sandali del dr. Scholl! E poi Alessandra Martines, grande professionista con la quale è rimasta amicizia».

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