Ben Pastor alla ricerca dello scavo perduto

Una giornata sulle colline del Piacentino. Qui l’autrice delle Vergini di pietra, romanzo storico ambientato all’epoca di Diocleziano, sta cercando le tracce di un accampamento militare sorto nel IV secolo dopo Cristo

Ben Pastor alla ricerca dello scavo perduto

Piacenza - Quando ti viene incontro fuori dalla stazione di Piacenza, per farsi riconoscere, indossa il suo cappello da cowboy nero. Ti trotterella incontro nei suoi calzoni aderenti, con l’aria energica e abbronzata che le è propria, e che, sotto i capelli tagliati alla maschietta, la fa sembrare molto più giovane dei suoi sessant’anni. Ti dice: «Bene, hai messo le scarpe da trekking - me le aveva caldamente consigliate - ho capito da quelle che eri tu». Dopo, lei - che è la scrittrice Ben Pastor, la “mamma” di Martin Bora e dell’investigatore tardoantico Elio Sparziano - ti carica su una Citroën e ti porta a decine di curve dal presente.

Infatti se Ben Pastor è uno degli autori di culto del giallo storico, una signora capace di spostarsi con agilità dalla seconda guerra mondiale, dove Bora indaga sui crimini che avvengono nel mondo sconvolto dalla furia dei nazisti, alle province dell’Impero governato da Diocleziano, dove Elio risolve misteri su mandato di Cesare Augusto, un motivo c’è. È una donna che ama scavare nel passato, lo fa quasi in maniera maniacale. E non solo leggendo tutto quello che le capita sotto tiro - può capitare di vederla passare con nonchalance, chiacchierando, dai cannoni da 88 della Wehrmacht alle fibule lignee dei longobardi - ma impugnando davvero pala e piccone. È per questo che, volendo starle dietro, servono calzature con una suola in vibram. Perché, mentre lei parla a raffica di guerra gotica, di fabbri longobardi e di come il piacentino sia stata una zona fondamentale di frizione per secoli - «La linea gotica dei tedeschi ha ricalcato per molti versi i castra e le fortificazioni degli scontri tra barbari e bizantini. Non è incredibile?» - la macchina, guidata dal suo compagno Luigi, arriva ai piedi di una collina con sperone roccioso che sembra essere parte di un altro mondo, quasi un’ucronia boscosa piazzata nel bel mezzo dei campi coltivati. In cima c’è il sito archeologico della piana di San Martino. Ben (al secolo Maria Verbena Volpi, il cognome è mutuato dal suo ex marito) viene qui a scavare tutte le estati da quando si è spostata a vivere in zona. «È un luogo incredibile abitato sin dall’età del bronzo, in cima alla collina c’è un insediamento fortificato nato tra quarto e quinto secolo d. C., una chiesa che è rimasta in funzione sino al Seicento, i resti di una torre medievale e chissà cos’altro ancora. Strati su strati lasciati dal passaggio di genti che sono vissute qui e che sono state dimenticate per secoli, almeno sin che non ci siamo messi a scavare con tanti altri volontari. Sono così tanti livelli che spesso è difficile capire cosa ci si trova davanti, datarlo». E nel dirlo è già partita a passo di marcia su per un sentiero (prima però ha sostituito il cappello da cowboy con un logoro berrettino stile baseball). Quando la raggiungi, scarpinando in un fango che ha la consistenza del cemento Portland, ti fa infilare nella fessura tra due enormi rocce. Attraversandola, un budello in cui per passare si strisciano petto e spalle sulla roccia, pensi che gli scrittori, si sa, sono tutti un po’ picchiati. Però una volta passato oltre ti dice di voltarti, e capisci. Sopra le rocce ci sono tutte delle strutture scavate, basamenti per strutture in legno. Le due rocce erano l’ingresso del punto fortificato del campo, una roba da Hollywood. Dopo è tutto uno spostar teloni di protezione degli scavi... «Lì abbiamo trovato le cisterne dell’acqua, là uno scheletro con una ferita sulla parte frontale del cranio, questa è la tipica struttura muraria di tipo romano, questo invece è evidentemente medievale... ».

Nella foga con cui spiega, mentre minuta solleva e sposta con il piglio di uno scaricatore, ecco rivelato l’arcano della scrittrice che è riuscita a trasformare romanzi di genere in qualcosa di diverso. Questa ex professoressa che ha girato un bel po’ di università americane, nata e cresciuta in Italia ma che, sa iddio perché, scrive e pensa in inglese, nei sassi legge le vite degli altri, di quelli che c’erano prima. In qualche modo ne sente le voci, e le vuol far sentire anche agli altri. Ecco il romanzo che viene dal passato. Che sia una trama a cui dar vita, o una fibula che bisogna amorevolmente estrarre dal terreno poco cambia.

Allora, scendendo, le chiacchiere sull’ultimo romanzo dedicato alle avventure di Elio Sparziano (Le vergini di pietra, Sperling & Kupfer, pagg. 388, euro 18,90) sembrano meno di rito: «Il difficile, quando si deve delineare la personalità di un individuo le cui vicende si svolgono nel mondo romano, è non banalizzarlo, non appiccicargli addosso cliché moderni. Nel 305 dopo Cristo anche l’idea di individuo come la intendiamo noi quasi non esisteva. Elio può essere triste ma non può essere depresso, tanto per dire... ». E se per Ben Pastor far rivivere il passato è una necessità che le viene dal profondo - «non potevo far a meno di Elio, gli ho dato il nome di uno dei presunti autori della Historia Augusta e l’ho modellato sulla mia idea di un militare colto che si muove a corte venendo dalla provincia... è un indagatore e uno storico e un cosmopolita, la mia chiave per raccontare il mondo... » - resta la grande domanda sul perché il fascino dell’Impero sia riesploso. Ecco la risposta di Ben: «Era un mondo globale ante litteram, era un mondo in cui il localismo faceva a pugni con la possibilità di ascese folgoranti e viaggi lunghissimi. Il latino era come l’inglese, i Parti e i Medi la minaccia che viene dall’oriente. E ancora, l’esercito una possibilità di ascesa sociale come negli Stati Uniti...

Lo strano sarebbe che la gente non leggesse libri su quel periodo». Ecco che allora per Elio si prospettano nuove avventure: «Sono già al terzo capitolo del nuovo libro. Lo mando in Britannia al vallo di Adriano... Per farlo mi tocca studiare un sacco».

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