Beppe Severgnini: carriera lunga ma memoria corta

Carissimo Granzotto, guardi, in allegato, cosa ho trovato. Da vecchio lettore del Giornale (quasi dal primo numero) le chiedo: non ci troviamo di fronte a un caso di palese ingratitudine?
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Orpo. Ma lasci che riveli ai lettori l’oggetto del ritrovamento. Si tratta della risposta che sull’ebdomadario Sette, Beppe Severgnini dà ad Andrea Sciola-König che chiedeva, «a lei, italiano praticante e gestore del forum Italians (mio gradito appuntamento mattutino): cosa vuol dire essere italiani». Replica di Severgnini: «Lei mi chiede di riassumere trent’anni di giornalismo, venti di libri, quindici di Corriere e quasi dodici di Italians in una frase?!». Ed ecco il punto: nel suo apologetico curriculum il mio amico Beppe dimentica di annoverare gli anni trascorsi al Giornale, senza il quale non esisterebbe un Severgnini giornalista, scrittore e titolare di forum. Se infatti Montanelli non si fosse piccato, amabilmente sollecitato in ciò da babbo e mamma Severgnini, di farne un giornalista catapultandolo di peso nella redazione del Giornale, oggi Beppe farebbe il notaio a Crema. Mentre grazie a Montanelli, in via Gaetano Negri mise subito il turbo: saltò la gavetta e prese subito a firmare avendo anche a portata di mano l’ingresso nell’aristocrazia giornalistica, il ruolo di inviato di guerra, al quale però dovette rinunciare sul più bello - prima Guerra del Golfo - per subentrati problemi (o forse «problematiche») esistenziali. Per il resto, Indro tutto gli concesse e concedendoglielo gli permise di farsi un nome. Perché dunque tanta irriconoscenza? Perché non ricordare ad Andrea Sciola-König le origini della sua fortunata carriera? Provo a indovinare. La prima cosa che mi viene in mente è che l’amico Beppe seguiti a ritenere in buona fede che il vero Giornale non era Il Giornale edito, ma che schifezza!, da Berlusconi. Il vero Giornale fu La Voce, quotidiano ovviamente libero e indipendente che vide la luce dopo lo «strappo» col Cavaliere. Volle precisarlo, col suo abituale fine humor, alla presentazione - Milano, Circolo della Stampa - della nuova testata. Aggiungendo, il birichino: alla Voce è confluita la parte migliore del Giornale (lui, ovviamente, compreso), mentre gli scarti (io fra quelli) sono rimasti a Via Negri. Poi, siccome la «parte migliore» non seppe impedire che La Voce passasse in meno di un anno a miglior vita, con un deciso colpo di ramazza Beppe ha comprensibilmente rimosso dalla sua memoria e dalla sua coscienza Voce e Giornale.
L’altra ipotesi che mi frulla - eccome mi frulla - in mente è che Beppe voglia consolidare il suo credito progressista (che, nella nostra professione, conta più della buona penna). Ed egli è consapevole che la «limpieza de sangre» di un «sincero democratico» risulterebbe corrotta, gravemente inquinata da un trascorso in quel cesso fascistoide del Giornale; un peccato originale che nessuna penitenza, nemmeno l’andare a piedi, anzi, a ginocchioni da Milano a Bari e ivi baciare il mocassino di Nichi Vendola, è in grado di riscattare.

Pertanto, acqua in bocca. Trent’anni di giornalismo, scrive Severgnini, dei quali quindici al Corriere. E i restanti quindici? Andrea Sciola-König se lo starà chiedendo, ma non s’illuda: non saremo certo noi a fargli la spia.

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