Berlino, affitti alle stelle. Torna l'era degli espropri

Lo chiedono via referendum i socialcomunisti della Linke. La cancelliera: "Non se ne parla"

Berlino, affitti alle stelle. Torna l'era degli espropri

Rispetto ai britannici attenti alle forme o agli italiani a volte poco diretti, i tedeschi hanno il dono della chiarezza. Anche in politica. Così Die Linke, il partito social-comunista erede politico della Ddr, ha tappezzato Berlino di poster con il messaggio «Espropriamo Deutsche Wohnen & Co!». Sottotitolo: «Berlino ha bisogno di case. Sottoscrivi adesso!». Basta spiegare che Deutsche Wohnen (DW) è uno dei più grandi proprietari di immobili nella Repubblica federale e che nella capitale tedesca l'emergenza abitativa è sempre più pressante per capire il senso dell'iniziativa. Assieme ad altre sigle, fra cui il sindacato «Verdi» (da non confondere con il partito dei Grünen) e l'associazione degli inquilini a Berlino (Bmv), il partito della sinistra-sinistra si è fatto promotore di una raccolta di firme per indire un referendum. Ai berlinesi si chiederebbe di avallare una campagna di espropri contro le società con oltre tremila fra case e appartamenti. La capitale della Germania non è l'unica città in cui trovare un'abitazione è un'impresa sempre più ardua. Manifestazioni contro il caro-affitti sono state celebrate il 6 aprile in 19 località tedesche, con circa 60mila manifestanti. Ma l'80% ha sfilato all'ombra della Porta di Brandeburgo.

Per molti anni Berlino è stata l'unica grande capitale europea con un mercato immobiliare abbordabile: una situazione dovuta alle migliaia di palazzi vuoti e malandati disponibili nel centro cittadino. Quelli a ovest che non voleva nessuno perché troppi vicini al Muro, con il corollario di filo spinato e Vopos armati dirimpettai, e quelli decrepiti in un est senza soldi per la manutenzione. Il 1989, però, è ormai lontano, la città riunificata ha riacquistato il rango di capitale, e uno alla volta i palazzi del centro sono stati acquistati, ristrutturati e rimessi sul mercato. A comprarli o ad affittarli come inquilini non sono stati solo i tedeschi, ma tanti russi, francesi, italiani, britannici, greci: soprattutto negli anni della crisi, mezza Europa ha investito nell'immobiliare berlinese. Nel frattempo l'altra metà (e con lei parte di Istanbul, Erevan, Kiev, Mosca e Tel Aviv) si è trasferita a Berlino, aumentando la già forte pressione sul mercato immobiliare dovuta alla potente immigrazione interna dall'ex Germania est. Così, se nel 2008 il prezzo medio di un affitto nella capitale tedesca era 5 euro/mq, oggi è a 10 euro abbondanti. Passeggiando di mattina per le vie del centro, si possono vedere lunghe code di persone: potenziali inquilini muniti di pazienza, buste paga, contratti di lavoro e lettere di referenze.

Ai promotori del referendum, l'esproprio sembra l'unica soluzione: e anche se la costituzione tedesca e quella della città-Stato proteggono la proprietà privata, la consultazione dovrà essere celebrata se saranno raccolte 170mila firme in quattro mesi. «Ci sono compagnie come Dw che solo a Berlino hanno 110mila appartamenti: noi vogliamo espropriarli tutti, socializzarli e riaffidarli alla città», spiega al Giornale Rouzbeh Taheri del comitato per il referendum. «Questa volta però dovranno essere gestiti dai cittadini e dai sindacati, per evitare una nuova privatizzazione». Perché se Dw ha così tanti immobili, lo deve proprio alla sinistra da sempre al potere a Berlino. «Solo nel 2005 - riprende Taheri - la città governata dal sindaco Wowereit (quello della Berlino «povera ma sexy», ndr) ha privatizzato 65mila appartamenti. Dal 1990 a oggi, la cifra sale a 200mila». Una scelta, secondo Taheri, fatta in parte per fare cassa, in parte per imposizione del governo federale. «Comunque sia, oggi tutti i partiti sono d'accordo nell'affermare che la vendita delle case di proprietà pubblica fu un errore», taglia corto Taheri.

La questione crea imbarazzo al borgomastro Michael Müller (Spd), alla testa di un governo di coalizione con i Grünen e la Linke promotrice del referendum. Dalla sua parte Müller ha però la legge: nella Germania post-nazista il referendum, ammesso solo a livello locale, ha valore strettamente consultivo. Ma il problema politico di una coalizione divisa resta. Il semplice discettare di espropri appare poi assurdo agli occhi di un establishment federale impegnato a proiettare l'immagine di una Germania moderna e innovatrice. I socialdemocratici sono contrari agli espropri ma non vogliono apparire come il partito dei palazzinari contro quello di chi non riesce a pagare l'affitto. «Capisco la rabbia verso le società immobiliari che vogliono spremere ogni centesimo dai loro inquilini, ma l'espropriazione richiede anni e non crea un solo appartamento», ha detto la numero uno della Spd, Andrea Nahles. Meno comprensiva e molto diretta è stata la cancelliera Angela Merkel: «Il governo è contro gli espropri». L'idea fa poi orrore al leader dei Liberali Christian Lindner, secondo cui con gli espropri i tedeschi finirebbero per darsi la zappa sui piedi, visto che le grandi imprese con migliaia di appartamenti sono di solito fondi pensione. L'emergenza però resta, con i contratti vecchio stile che non vengono più rinnovati e il prezzo di quelli nuovi in costante ascesa.

Anche il capogruppo dei cristiano-sociali bavaresi Alexander Dobrindt ha preso atto della situazione, chiedendo però «di evitare soluzioni da socialismo reale». Allo studio del governo federale c'è adesso un aumento del Wohngeld, il sussidio per l'affitto riconosciuto agli inquilini a reddito più basso. La raccolta firme, intanto, va avanti.

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