Roma - Forse l’ultimo salvagente per l’acciaccato Berlusconi è proprio il suo primo antagonista: Bersani. Sì perché il leader del principale partito d’opposizione ha la coerenza di un chierichetto che bestemmia in Chiesa. Si prenda il nucleare, tema per cui s’è battuto affinché agli ultimi referendum vincesse il «sì», ossia per affossarlo definitivamente. Ebbene, della serie «va dove ti porta il quorum», il capo del Pd ha cavalcato l’onda della paura post Fukushima ed è diventato fiero antinuclearista. Ha bacchettato persino il suo idolo Vasco Rossi che aveva osato pigolare che, secondo lui, l’atomo non era da sbatter via.
«La scelta del governo sul nucleare è assurda sotto ogni profilo - abbaiava Pier Luigi il 7 giugno scorso- . Ora la posizione ambigua del governo deve essere spazzata via dagli italiani».Pur di contestare Berlusconi e mettere il cappello sugli atomici timori degli italiani,Bersani s’è rimangiato le sue convinzioni in merito e, con la disinvoltura di un venditore di tappeti della medina di Marrakech, ha cambiato idea. Si dirà: «Capita. Anzi, è segno di intelligenza adeguarsi ai tempi». Peccato che il tempo in cui Bersani era convinto che sposare l’atomo fosse cosa buona e giusta non risale alla Prima Repubblica ma a pochi giorni fa. Almeno ad aprile di quest’anno. Perché quella è la data in cui l’aspirante guida del nostro Paese ha dato alle stampe il suo «Per una buona ragione», libro intervista con Miguel Gotor e Claudio Sardo. Ebbene, a metà volume, al capitolo «Ambiente e crescita mai più divisi», il nostro discettava proprio di energia.
Ecco il suo pensiero, a pagina 88: una delle quattro piste da percorrere è «la ricerca e la promozione industriale per smantellare il vecchio nucleare e partecipare allo sviluppo del nuovo nucleare pulito, avvicinando la quarta generazione ». Ma come? E Vasco Rossi? E i referendum? E l’atomo killer? Niente: una piroetta degna di una Carolina Kostner. Quindi: affidereste la guida dell’Italia a uno così? Forse non comprereste neppure un’auto usata. D’altronde, a conferma che per Bersani lo sposalizio dei referendum sia stato per esclusivo e immediato interesse politico, lo dimostra anche l’atto da lui firmato nel 2007. All’epoca Pier Luigi era ministro per lo sviluppo Economico e il 13 novembre di quell’anno firmò un accordo bilaterale con l’omologo Usa, Samuel Wright Bodman, con il quale ratificava una partnership proprio sullo sviluppo dell’energia atomica. Allora l’attuale leader del Pd tranquillizzava Bush che il «referendum del ’87 ha solo sospeso e non chiuso i piani nucleari in Italia». Ora invece dice che «l’addio all’atomo è una mia vittoria ». Incoerenza atomica.
E che dire dell’acqua? Anche su questo tema, Bersani affoga nell’incoerenza: ha spinto per bocciare il decreto Ronchi e dire «ho vinto anche su questo» ma, sempre nel libro fresco di stampa, si legge a pagina 102 tutt’altro. «Il problema è che sprechiamo tantissima acqua e non ci sono soldi da investire nelle manutenzioni e in nuove infrastrutture- discetta giustamente il democratico- . Il pubblico deve avere il comando programmatico dell’intero processo di distribuzione e le infrastrutture essenziali come le dighe, i depuratori, gli acquedotti devono essere sotto il pieno controllo pubblico ma ciò non vuol dire che il pubblico non possa affidare ai privati parti di gestione del ciclo, ovviamente dopo regolare gara e con un’autoritàindipendente che vigili costantemente sul rapporto tra capitale investito, tariffe per il consumatore e remunerazione ». Oibò. Quindi perché affossare il decreto Ronchi attraverso l’appoggio ai due referendum sull’acqua? D’altronde,poi,fu proprio Bersani, sempre nel 2007, a volere la liberalizzazione del servizio idrico. La sua battaglia dell’epoca fallì perché dovette chinare la testa proprio di fronte alla quella sinistra radicale che a sentir parlare di liberalizzazioni viene ancora l’orticaria.
Allora Bersani ingoiò il rospo, adesso il rospo lo bacia per dire «Ho vinto anch’io». A smascherare il gioco sporco di Bersani, in fondo, ci ha pensato uno di sinistrissima come Franco Bassanini.
«Questa regola della gara, prevista dalla legge Ronchi-Fitto è la stessa stabilita dai precedenti e purtroppo sfortunati tentativi di riforma, targati Napolitano-Vigneri nel primo governo Prodi e Lanzillotta-Bersani nel secondo governo Prodi. La sinistra (leggasi Pier Luigi ndr.) se ne infischia del merito delle cose perché privilegia un obiettivo politico: quello di dare un altro colpo al governo Berlusconi ». Touché .- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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