Roma - Una "inversione di tendenza", ma non "un’ora X". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha fissato così l’asticella per le amministrative. Il Pd, ha spiegato, conta di vincere a Torino e Bologna e andare almeno ai ballottaggi a Milano e Napoli. Del resto, l’esperienza e i sondaggi suggeriscono di non sbilanciarsi troppo e, sebbene Silvio Berlusconi abbia passato un lungo anno segnato dai pesanti attacchi (politici e giudiziari) della magistratura e dei media, è anche provato che il Cavaliere ha politicamente ben più delle proverbiali nove vite di un gatto e la campagna elettorale è il suo terreno preferito.
Non solo. Bersani sa, e Walter Veltroni ha provveduto a ricordarglielo con una intervista al Foglio solo due settimane fa, che la minoranza interna è pronta ad riaprire il dibattito interno e la richiesta del congresso anticipato pare già pronta, a sentire alcuni esponenti di Movdem. Ecco perché Bersani si è tenuto cauto con le previsioni. "Contiamo di vincere a Torino e Bologna e di giocarcela a Milano e Napoli. Ma in generale ci aspettiamo un’inversione di tendenza", ha detto il leader piddì. E nella lettera inviata agli elettori ha spiegato che il Pd dal voto per i comuni non si aspetta "un’ora X", ovvero la caduta del governo, ma un "segnale".
Secondo Sergio D’Antoni, responsabile delle politiche territoriali del partito, il primo dato a cui guardare sarà chiaramente il bilancio nelle quattro città principali, Milano, Napoli, Bologna e Torino. La partita si gioca soprattutto tra Milano e Napoli: nel capoluogo lombardo già il mancato successo di Letizia Moratti al primo turno sarebbe una mezza vittoria per il centrosinistra, per non parlare di un clamoroso, quanto difficile, successo al ballottaggio di Giuliano Pisapia; a Napoli il candidato democratico Mario Morcone sembra aver recuperato lo svantaggio su Luigi de Magistris, ma solo lunedì sera si saprà se è stato scongiurato il rischio di un davvero poco onorevole "terzo posto", che vorrebbe dire Pd fuori dal probabile ballottaggio. D’Antoni spiega: "Se andassimo bene nelle quattro città, con due vittorie al primo turno (Torino e Bologna, ndr) e due ballottaggi (Milano e Napoli, ndr), sarebbe il risultato che segna il grande rilancio e la sconfitta del berlusconismo, che in queste settimane ha parlato come se non governasse lui da tre anni". E se qualche settimana fa a Napoli de Magistris sembrava avanti a Morcone, adesso "penso che alla fine dovremmo farcela, e quanto meno puntarci...".
La richiesta di "confronto" presentata da Veltroni con una assai poco gradita intervista al Foglio, due settimane fa, è stata commentata così da Bersani: "Noi non facciamo verifiche, ma discussioni, e ognuno dice quello che vuole". D’Antoni, però, fa capire che il voto sarà decisivo per fissare i rapporti di forza in vista dela 'discussione'. "Non è davvero il momento di parlare di questo - dice D’Antoni - se otteniamo il risultato che ho detto... Poi discutiamo". D’altro canto, non va sottovalutato un fatto: un buon risultato di Pisapia a Milano rilancerebbe il ruolo di Sel e di Nichi Vendola, suo potenziale concorrente ad eventuali primarie di centrosinistra. E darebbe forza a quanti, i Movdem ma non solo, ritengono che il partito ha attualmente un baricentro troppo spostato a sinistra. Marco Follini, una voce spesso critica rispetto alla linea del segretario, cerca di minimizzare i rischi di una resa dei conti, ma ammette la necessità di un 'dibattito'. "Un Partito democratico discute, lo dice il nome stesso. Discute democraticamente, in ragione di quello che ci diranno gli elettori. Non credo sarà una discussione né aspra, né tantomeno distruttiva. Fa parte del nostro modo di interpretare la politica che il cantiere sia sempre aperto". Il congresso anticipato, Follini, preferisce non prenderlo in considerazione: "Non credo che sia all’ordine del giorno, credo piuttosto che valga l’idea di Renan (filosofo francese, ndr) anche noi siamo un 'plebiscito quotidiano'".
Altri esponenti della minoranza, chiedendo l’anonimato, assicurano: servirà un chiarimento e, probabilmente, un congresso anticipato. Certo, bisognerà vedere se le urne daranno alla minoranza la forza di chiederlo, il congresso. Ma le parole dette da Veltroni al Foglio tracciano già una linea molto diversa da quella bersaniana, quasi una piattaforma congressuale alternativa: bipolarismo, no al ritorno "all’Unione", Pd riformista e capace di interpretare l’alternativa. E la tentazione è quella di chiedere il congresso a prescindere dal voto, come già ha qualche volta ipotizzato Paolo Gentiloni, per fare il "tagliando" della leadership e della linea del partito prima delle politiche e non dopo, come sarebbe rispettando la scadenza naturale. Anche per questo, in vista del confronto con la minoranza, Bersani e i suoi non puntano solo sul risultato dei candidati sindaco nelle quattro principali città.
L’inversione di tendenza, come spiega Matteo Orfini, si misurerà anche sul risultato "del centrosinistra e del Pd". Alle europee del 2009 il Pd prese il 26,1%, alle regionali dello scorso anno sfiorò il 27. Al Nazareno sono fiduciosi che questa volta sarà un risultato "in controtendenza rispetto a quelli degli ultimi due anni", dice Orfini. "Questo sarà il dato". In ogni caso Bersani, ancora pochi giorni fa, ha ribadito di essere in campo per la corsa alla leadership in vista delle prossime politiche, ma sa anche che molto dipenderà da questo voto.
Il segretario è anche convinto che, come ripete Massimo D’Alema, un accordo con il terzo polo è indispensabile alle prossime elezioni e per questo ha lasciato una porta aperta ad altre soluzioni: "Io ci sono. Ma siccome noi parliamo di un progetto e di una convergenza di forze voglio discutere con gli altri".
Il segretario, però, ci crede e lo testimoniano le migliaia di manifesti che lo ritraggono in maniche di camcia apparsi nei mesi scorsi in tutta Italia. Per questo, da lunedì, vorrebbe evitare di tornare a discutere "del partito" anziché del suo progetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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