Bersani contro gli alleati: io non torno indietro ma dopo faremo i conti

Gian Maria De Francesco

da Roma

«Vado avanti. Tratto, ma state tranquilli che non torno indietro. E come dice Monti (l’ex commissario Ue, ndr) non alzo le mani, alzo la posta». Il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, in un’intervista pubblicata ieri da Repubblica, ha difeso la sua linea a zigzag sulle liberalizzazioni e ha preannunciato che il pacchetto di misure per il rilancio della competitività, in aula da oggi al Senato, sarà posta la questione di fiducia. Superata questa fase, l’esponente diessino passerà a un regolamento dei conti nella maggioranza, a cominciare dal premier Prodi.
«Non perché ci sia un problema di tenuta della maggioranza - si è affrettato a precisare - ma per ragioni di tempo: voglio che il decreto sia convertito entro la fine di luglio. Sarebbe un segnale importantissimo per il Paese». Il ricorso alla fiducia rappresenta un passaggio scontato per sostenere un provvedimento che contiene anche le stangate fiscali del viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco. Anche perché dopo il 4 agosto i parlamentari andranno in ferie con buona pace di qualsiasi conversione di decreti.
Ma lo spunto più interessante offerto da Bersani è la pseudolista di proscrizione degli oppositori interni all’Unione. «Ne ho per tutti, quando questa storia sarà finita. Ho una lista lunga così di gente con la quale mi devo chiarire», ha detto il ministro. «Gente che si è mossa per piccoli opportunismi di bottega» è il riferimento al sindaco di Roma Walter Veltroni che ha trattato con i tassisti mentre Bersani era sotto assedio. «Gente che parla senza sapere o che ha perso un po’ la memoria» come il presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, che ha criticato il ministro per aver ceduto alla piazza in quanto preoccupata dei destini della Tav. «Quando a difendere la Tav c’ero io - ha ricordato Bersani - lei stava dall’altra parte del tavolo come presidente della Provincia».
L’ultima stilettata è stata riservata al presidente del Consiglio. «Quando c’è una guerra mi aspetto sempre che il generale, per prima cosa, difenda i suoi soldati», ha concluso rivolgendosi al premier troppo arrendevole nei confronti delle parti sociali. Il regolamento di conti coinvolge anche l’ipercritico vicepremier Rutelli e salva solo il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, l’unico ad avere appoggiato le misure di liberalizzazione, almeno a parole.
Ma Bersani, che sul fronte taxi ritiene addirittura di aver vinto, ha disegnato anche la fase-due nella quale si riformeranno gli ordini professionali, l’energia e il mercato delle telecomunicazioni e della tv. Con le trappole-fiducia disseminate sul decreto liberalizzazioni e sulle missioni all’estero, non è improbabile che il ministro stia già pensando a un governo alternativo.

D’altronde, ha sottolineato, l’Italia rischia di affondare nella «neghittosità di Oblomov» e «io ho dimostrato che liberalizzare è di sinistra». Anche Stalin affermò che «la Russia è sempre stata battuta a causa della sua arretratezza, è ora di colmare le nostre lacune». A pagare, come ricordano i libri di storia, furono i cittadini.

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