«Bersani? Ottimi rapporti non patti segreti»

Stefano Zurlo

da Milano

Sfoglia minuziosamente ritagli di giornale. Snocciola cifre. Infine Bruno Binasco, braccio destro di Marcellino Gavio e amministratore delegato del gruppo, sorride e conclude: «Albertini si è messo da solo con le spalle al muro, firmando un patto di sindacato paradossale, adatto a supportare le mosse di chi voleva comprare, non a vendere le quote della Serravalle. Penati, invece, ha centrato un ottimo affare».
Veramente, dottor Binasco, qui sembra che l’affare l’abbia fatto il gruppo Gavio. Ha comprato le azioni della Serravalle a 2,9 euro e le ha rivendute meno di due anni dopo alla Provincia a 8,83 euro. Fanno 176 milioni di plusvalenza.
«È un prezzo corretto. Con quella mossa Penati si è messo in tasca la maggioranza della Serravalle, ora è il padrone della società».
Ce n’era bisogno? Penati aveva un alleato «naturale», il Comune di Milano.
«Io non voglio entrare nelle questioni fra gli enti pubblici. Rilevo che da dieci anni questa società è allo sbaraglio, paralizzata da conflitti di ogni genere. Da lotte di potere. Dieci, dico dieci presidenti cambiati dal 1994, lavori fermi, guerre intestine; ora Penati potrà valorizzare, se saprà lavorare bene, questo patrimonio. La Serravalle, se gestita oculatamente, rende dai 40 ai 50 milioni di euro l’anno».
Albertini ha presentato un esposto alla Corte dei conti.
«È un suo diritto».
Resta il fatto che il gruppo Gavio ha portato a casa una montagna di denaro.
«Sa perché abbiamo venduto?
Lo dica lei.
«Perché non potevamo comprare, perché il patto di sindacato incartava tutti gli azionisti pubblici».
Binasco apre una cartellina e mostra un documento: «Io non parlo a vanvera. Il 4 maggio 2005 abbiamo fatto un’offerta alla Camera di commercio per rilevare il loro 4 per cento. Io ero disposto a pagare, come si legge in quella carta, 7,50 euro per azione. Ed era solo il 4 per cento. Loro però non potevano vendere, per via del patto di sindacato, che li vincolava in favore della Provincia. Noi abbiamo capito che non avremmo mai potuto prendere il controllo della società. E quindi non avremmo mai potuto sviluppare i nostri piani strategici e d’investimenti. Che altro ci restava se non vendere?»
Al Comune avevate offerto molto meno, solo 4,50 euro per azione. Come mai?
«Era l’1 settembre 2004. Volevamo snidare Palazzo Marino. Non c’è stato verso, Albertini ha continuato a temporeggiare. Noi ci aspettavamo che lui formalizzasse il prezzo, non lo ha mai fatto».
Quanti soldi sarebbe stato disposto a sborsare? Anche più di 4 euro per azione?
«Molto di più».
Sette-otto euro?
«Di più».
Dieci?
«Non lo escludo».
Come mai in un’intercettazione del giugno 2004 Gavio le dice: «Adesso vendiamo a 4 euro e ci portiamo a casa un bel po’ di soldi»?
«Quel colloquio mi suona strano. In quel momento noi eravamo disposti a comprare a un prezzo già alto».
Allora non c’è stato spreco di denaro pubblico?
«Le leggo quanto dichiarato testualmente da Albertini al settimanale Economy il 26 maggio scorso: “Se il patto di sindacato dovesse sciogliersi, la nostra quota potrebbe essere messa all’asta su una base non inferiore al doppio del valore di recesso: 8,30 euro per azione. Sia la Provincia che Gavio potrebbero fare offerte d’acquisto”».
Ma allora, non sarebbe stato più semplice per Penati comprare da Albertini?
«Di fatto Albertini non voleva vendere».
Lei oggi spenderebbe per la Serravalle?
«Certo, se mi lasciassero andare in maggioranza. Pagherei anche 10 euro ad azione. E aggiungerei la Serravalle, in cui fra parentesi abbiamo ancora un dodici per cento, al nostro gruppo che già controlla sette autostrade».
Sia sincero: 10 euro non sono troppi? Gli analisti valutano le azioni della Serravalle 5,19 euro.
«Gli analisti fanno i loro calcoli su 10 anni di bilanci inefficienti, io leggo le potenzialità di crescita».
Albertini vi accusa di aver girato i soldi della Serravalle nella scalata Unipol a Bnl.
«Le parole del sindaco sono gravissime e stiamo valutando se intraprendere un’azione legale».
Nel merito?
«È vero che su richiesta di Giovanni Consorte, Gavio ha comprato una quota dello 0,50 per cento della Bnl investendo 50 milioni di euro, ma ci sono due dettagli decisivi che Albertini dovrebbe sapere».
Quali?
«Il primo è che il nostro impegno in Bnl è precedente, di circa un mese, alla vendita del nostro pacchetto alla Provincia. E quindi non potevamo girare soldi che non avevamo. Il secondo è che in Bnl abbiamo investito il denaro del prestito obbligazionario da noi lanciato qualche tempo prima per 300 milioni di euro. Ci siamo finanziati sul mercato, non con i soldi della Provincia».
Davvero non c’è stato alcun patto segreto con i Ds?
«Ma quando mai».
Gavio vanta ottimi rapporti con Bersani ed è stato Bersani a dare a Penati il numero di cellulare di Gavio.
«Noi siamo da sempre filogovernativi e non per opportunismo. Bersani è stato ministro dei Trasporti, confermo che Gavio ha da sempre un ottimo rapporto con lui».
Perché Gavio ha incontrato Penati in un albergo di Roma?
«C’erano già state tante polemiche.

Volevano ragionare in tranquillità. Mi creda, in questa storia non abbiamo niente da nascondere. Del resto la Procura di Milano ha passato alla moviola anche tutto quello che abbiamo fatto con la Colli. E alla fine ha archiviato».

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