«La Bibbia non giustifica Israele»

Città del Vaticano La Bibbia non può giustificare le «ingiustizie»: si è concluso con una condanna politica e teologica dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi il Sinodo vaticano sul Medio Oriente, a cui hanno partecipato, insieme a Benedetto XVI, 185 padri sinodali, tra cui tutti i patriarchi e vescovi della regione mediorientale.
Nel messaggio finale, l’Assemblea sinodale ha chiesto all’Onu e alla comunità internazionale di mettere fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, «attraverso l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite», a partire dalla 242, che invocava il ritiro israeliano nei confini precedenti alla guerra del 1967. I vescovi hanno rilanciato anche la questione del ritorno dei rifugiati palestinesi e una soluzione che garantisca il carattere multireligioso di Gerusalemme, invitando il governo di Netanyahu a non compiere «atti unilaterali».
Ma ad andare ancora più a fondo, sopratutto sul piano teologico, è quella parte del messaggio finale del Sinodo dedicata al «dialogo con i nostri concittadini ebrei». «Non è permesso - hanno sottolineato i padri sinodali - di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie». Tanto per essere chiari: «Per noi cristiani non si può più parlare di terra promessa al popolo giudeo», ha detto nella conferenza stampa conclusiva monsignor Cyrille Salim Bustros, arcivescovo dei greco-melchiti della diaspora negli Stati Uniti, e presidente della commissione che ha redatto il messaggio finale. «La terra promessa è tutta la Terra. Non vi è più un popolo scelto», ha aggiunto, osservando che il Nuovo Testamento ha superato il Vecchio.

Dunque: «Non ci si può basare sul tema della Terra promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e l’esilio dei palestinesi».
L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechai Lewy, ha parlato di «bizzarre interpretazioni della Bibbia».

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