Il big bang della politica italiana

Nato per unire, il Partito democratico per ora provoca solo scissioni. Ma chi pensa che la partita della riorganizzazione politica sia tutta nel centrosinistra si sbaglia, perché a dettare i tempi e i modi del fusionismo/scissionismo c’è anche e soprattutto l’agenda istituzionale, con il referendum sulla legge elettorale e le trattative parlamentari per evitarlo. Si tratta di un problema ad alto voltaggio che rischia di lasciare fulminato sul terreno più di un partito.
L’attuale geografia politica vede un centrosinistra che paradossalmente governa grazie alla frammentazione e una Casa delle Libertà che nonostante sulla carta abbia più coesione, sta affrontando il giro di boa con un futuro tutto da definire.
Gli strappi di Mussi e Angius sul vestito cucito da Fassino e Rutelli addosso al Partito democratico sono ampi e ci vorrà un lavoro d’alta sartoria per rammendarlo. A sinistra del Pd infatti si stanno moltiplicando più sinistre antagoniste che presto - la scadenza è quella delle europee del 2009 - si troveranno davanti a un bivio: andare in ordine sparso o cercare nuove forme di collaborazione. Il sistema elettorale del voto europeo è proporzionale puro e questo incoraggia i partiti a contarsi. L’obiettivo è quello di pesare sul campo la validità delle proprie scelte politiche. Per i Ds e la Margherita sarà il primo banco di prova, per i piccoli nuovi/vecchi del centrosinistra è l’occasione migliore per giocarsi la supremazia in un futuro rassemblement a sinistra del Pd. Stesso discorso nel centrodestra, dove Forza Italia punta a rafforzare il suo ruolo di partito guida e ribadire la leadership di Silvio Berlusconi sul blocco moderato, An va a caccia di un consenso più largo, la Lega a consolidare il suo ruolo nella parte più produttiva del Paese - il Nord - e l’Udc che oscilla tra la ricerca di un «centro» alternativo e una diversa proposta nello scaffale del centrodestra.
La riforma della legge elettorale - o gli esiti del referendum - impongono a tutti di guardarsi intorno, soprattutto le spalle. L’introduzione di uno sbarramento minimo del tre per cento sembra una strada obbligata, l’accordo dei partiti più forti una necessità. Difficile trovare un punto di equilibrio tra le ragioni dei grandi e quelle dei piccoli.
Per questo il panorama politico è destinato a mutare e l’avvio del Partito democratico rappresenta una sorta di preludio al Big Bang del sistema. Fuori dall’orbita del Pd ormai si contano almeno altri nove soggetti: i neosocialisti di Angius, la Sinistra democratica di Mussi, Rifondazione comunista e il Pdci, lo Sdi e i Radicali, i Verdi, l’Italia dei Valori e l’Udeur. Difficile pensare che in futuro possano correre tutti in ordine sparso. Nella zona comunista Rifondazione e Diliberto potrebbero federarsi (così si è espresso il segretario del Pdci Diliberto presentando il congresso) e attrarre in futuro i satelliti dei neosocialisti di Angius e della Sinistra democratica di Mussi e Salvi. Un progetto di Izquierda Unida accarezzato da Bertinotti, ma senza accelerazioni. I socialisti hanno annunciato una loro riunificazione, Sdi e Nuovo Psi potrebbero marciare insieme. Dentro il Pd sanno che costruire un partito nuovo sul dualismo Ds-Margherita può essere letale e c’è chi s’agita per allargare la casa alla società civile e altri soggetti (come chiede il Coordinamento per la Costituente dei cittadini per il Pd) o avventurarsi verso altre lande politiche come ha prefigurato il presidente del Senato Franco Marini. Una riorganizzazione che per ora è caos e magma, ma presto comincerà a solidificarsi.
Ovvio che nel centrodestra non stiano a guardare. Per le ragioni dell’agenda istituzionale (referendum e/o riforma della legge elettorale) e per questioni di equilibrio di bottega. La corsa solitaria dell’Udc verso il neocentrismo (possibile in futuro con l’Udeur se Mastella «rompe» a sinistra e con i prossimi transfughi della Margherita) obbliga Forza Italia e An a varare una forma di collaborazione più stretta per intercettare i voti del centro. Questi ultimi infatti saranno potenzialmente attratti da più calamite: il Partito democratico, i partiti di ispirazione neodemocristiana e appunto Forza Italia e An. Diverso il discorso per la Lega. Il partito di Bossi può far parte di una federazione, ma lo schema a cui guarda è quello della Csu tedesca, un forte partito autonomista federato per ora al centrodestra.

La politica non è una scienza esatta, ma la polverizzazione del sistema sembra giunta a livelli inimmaginabili, basti pensare al blocco dei lavori parlamentari e alla proliferazione dei gruppi, tredici alla Camera e undici al Senato. Non sono mai stati così tanti dal 1948 a oggi. Si vuol continuare così?
Mario Sechi

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