Ognuno ha il suo principio della storia. Il mio è la telefonata di un vicedirettore che mi chiede: «Vai a Codogno?». Io ero a Firenze alla degustazione di un vino, figuriamoci, ed eccomi a zompare sul primo treno per tornare a Milano e poi di nuovo su un regionale per andare a raccontare il paese che quel giorno era sulla bocca di tutti: la Sarajevo del 1914, la Polonia del 1939, il primo proiettile che colpisce JFK a Dallas, la punta del primo aereo che penetra nella prima delle Torri gemelle: un 28/6, un 1/9, un 22/11, un 11/9. E un 21/2, di quelle date che diventano brand e che ti ricordi dove sei chiunque sei e con chiunque.
Ognuno ha il suo principio, ma il mio è più principio, perché al termine di quella trasfertina di lavoro, di quell'articolino (nemmeno un'apertura, se non ricordo male) a raccontare in punta di penna una cittadina raggelata dal freddo, dal vuoto e dalla paura - ad aggirarci solo io e qualche altro disperato - mi ritrovai in isolamento disposto dalla Asl, due settimane a casa compleanno compreso che per me furono lo spoiler privato di quello che nel giro di due settimane sarebbe stato il film di tutti. Di quel giorno conservo i biglietti del treno Milano-Codogno via Casalpusterlengo, 11 euro (5,50 all'andata e 5,50 al ritorno) che rinunciai a farmi rimborsare dall'azienda per conservarli, un piccolo privé della pandemia. Li sto guardando ora, mentre scrivo: vanno sbiadendo, tra un po' non si leggerà nulla.
Quello che non sbiadirà mai è il ricordo di quel venerdì in cerca di una testimonianza, di un'atmosfera, di un non-so-che che raccontasse l'abbozzo di una storia tutta da scrivere, che allora sembrava una cosa metallica ed esotica, da serie distopica di Netflix. Ma davvero, davvero: chi avrebbe allora immaginato che sarebbe diventato tutto questo?
Codogno era vuota e spoglia, una troupe televisiva sotto la luce di un faro a riprendere davanti all'ospedale, dove Mattia, il paziente uno, stava combattendo la prima battaglia ufficiale contro il Covid (che allora era parola semisconosciuta).
Milano invece in quei giorni era ancora frenetica e carnevalesca, rispetto a Codogno sembrava il presente di un passato. E invece era Codogno il futuro, e Milano un refuso temporale. Sarebbero arrivati i giorni in cui ogni città diventò un palcoscenico vuoto, e noi attori zitti acquattati nelle quinte.
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