Bin Laden e la beffa di Guantanamo

Il capo di Al Qaida: «Di tutti i detenuti a Cuba solo due c’entrano con l’11 settembre». Ma non svela i nomi. La Cia: «La voce è quella di Osama»

Bin Laden e la beffa di Guantanamo

Marcello Foa

Gli esperti della Cia non hanno dubbi: «La voce è di Bin Laden». Hamid Mir, il giornalista pakistano che in passato ha intervistato più volte il capo di Al Qaida, conferma: «Il messaggio diffuso lunedì sera ha tutta l’aria di essere autentico». E anche se Washington ufficialmente tende a sminuirne l’importanza - «è un uomo isolato che tenta di dimostrare di essere ancora al comando» -, gli esperti dell’antiterrorismo lo ritengono cruciale. Perché Osama è vivo o perlomeno lo era poche settimane fa quando la cassetta è stata registrata e per la prima volta ammette pubblicamente di essere responsabile degli attentati dell’11 settembre. Non solo: mentre negli ultimi due nastri, risalenti al gennaio e all’aprile scorsi, era apparso confuso e poco convincente, ora Bin Laden dimostra di saper argomentare con grande lucidità le critiche all’America. «La sua è una mossa intelligente», ammette l’ex esperto della Cia Paul R. Pillar, che gli ha dato la caccia per anni: «Gli permette di sfruttare la confusione riguardo il processo Moussaoui», che si è concluso con la condanna all’ergastolo.
Il terrorista francese di origine marocchina era davvero il ventesimo uomo del commando dell’11 settembre? Bin Laden nel suo messaggio, di cui ieri è stata diffusa la trascrizione integrale, dice di no: «Io non l’ho mai incaricato». E prova perché. «Moussaoui è stato arrestato due settimane prima dei fatti. Se davvero fosse stato coinvolto avrei ordinato al fratello emiro Atta e ai suoi fratelli di lasciare subito l’America nel timore che venissero scoperti». Invece questo rischio non c’era e l’operazione non è stata interrotta. «Quel giorno il commando era diviso in due gruppi: piloti ed elementi di sostegno. Se Moussaoui era davvero tra i primi ora dovrebbe indicare i nomi dei compagni del suo gruppo: ma non può farlo perché non esistono».
Osama afferma che la confessione resa dall’aspirante kamikaze in tribunale «è il frutto delle pressioni esercitate dagli americani in quattro anni e mezzo di detenzione, senza le quali anche lui oggi direbbe la verità».
Una verità che, secondo il capo di Al Qaida, anche Bush conosce, ma che non ammette «per ragioni che non sfuggono ai saggi». Quali? Una su tutte: «Trovare giustificazioni per le enormi spese del Pentagono e degli altri apparati nella loro guerra contro i mujaheddin».
La Casa Bianca, ovviamente, respinge le accuse. «Questo messaggio rientra nella sua incessante campagna di propaganda», commentano fonti dell’antiterrorismo citate dai media Usa. Eppure il nuovo proclama riesce a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica arabo-islamica. Bin Laden afferma che «tutti gli ostaggi di Guantanamo non hanno alcun legame con l’11 settembre e non sapevano nulla».

Tutti innocenti, insomma, tranne «due fratelli», che ovviamente non nomina. Molti tra le centinaia di prigionieri non solo non hanno legami con Al Qaida, ma sono addirittura contrari alla sua ideologia. Una beffa o, forse, solo l’ennesima, riuscita provocazione.

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