Binasco: «Presenteremo un’offerta per le quote Serravalle del Comune»

Stefano Zurlo

Gabriele Albertini lo sfida: «Serravalle va all’asta». E lui, Marcellino Gavio, apre ufficialmente la trattativa dalle colonne del Giornale. È il braccio destro dell’imprenditore di Tortona, Bruno Binasco, a spiegare la strategia del gruppo che controlla oltre mille chilometri di autostrade: «Siamo disponibili - spiega Binasco, in presenza di una richiesta scritta, a riesaminare i temi di validità della nostra proposta irrevocabile e le modalità di pagamento». Insomma, il termine di dieci giorni a partire dal 10 marzo, non è un ultimatum, ma può essere discusso. Così come si può raggiungere un accordo sul prezzo.
Curioso, la coppia Gavio-Binasco solo a luglio dell’anno scorso aveva venduto il 15 per cento della società alla Provincia di Filippo Penati, incassando 238 milioni di euro (8,83 per azione) e polemiche a non finire. Ora il cambio di rotta: a Tortona sarebbero disposti a rastrellare le quote del Comune, versando 8 euro ad azione.
Dottor Binasco, la Giunta ha deciso di mettere all’asta le azioni della Serravalle. E’ un modo per saggiare la serietà della vostra proposta?
«Non conosco le motivazioni della delibera ma ritengo che una decisione di questa importanza debba basarsi su presupposti di natura politico-economica e non strumentali. Siamo disponibili, in presenza di una richiesta scritta, a riesaminare i tempi di validità della nostra proposta irrevocabile e le modalità di pagamento».
Parteciperete comunque all’asta se il Consiglio comunale delibererà in questo senso?
«Poiché riteniamo di aver fatto una proposta seria con motivazioni industriali ponderate, se i parametri che abbiamo indicato saranno mantenuti, è evidente che la nostra offerta verrà presentata».
Non vi defilerete?
«Ma quando mai».
L’assessore Goggi teme che l’offerta sia un bluff. E che la mossa serva per giustificare a posteriori i 238 milioni sborsati proprio per comprare le vostre quote l’anno scorso.
«Quello che non comprendiamo sono le dietrologie che abbiamo letto e continuiamo a leggere sui giornali. Noi non agiamo per conto di nessuno ma nell’esclusivo interesse del nostro gruppo. Quando abbiamo venduto lo abbiamo fatto nella consapevolezza che non esisteva alternativa nella lotta fra Comune e Provincia. Il loro atteggiamento in continua contrapposizione ci ha costretto ad una scelta obbligata. Il Comune in particolare, nonostante il nostro pressing, non voleva vendere».
Ora che cosa è cambiato?
«Ora, pur avendo la Provincia la maggioranza assoluta, non si riesce a raggiungere l’obiettivo della quotazione in Borsa perché il Comune non ha dato risposte positive in merito. L’avanzare una proposta al Comune in linea con quella fatta a suo tempo è prova di serietà nei confronti dell’istituzione e un nuovo tentativo di dare stabilità alla società per raggiungere la quotazione e la relativa valorizzazione, anche della quota da noi già posseduta».
Albertini mette in rilievo un altro aspetto: il gruppo Gavio vuole tutto, ma proprio tutto il pacchetto in mano a Palazzo Marino. E questo per mettere fuorigioco il Comune.
«Non intendo entrare in polemica ma se non ricordo male è stato proprio il Comune di Milano a pretendere l’esclusione dei rappresentanti del nostro gruppo, che allora deteneva circa il 27 per cento, non solo dall’esecutivo ma dal consiglio di amministrazione. Le illazioni in merito alla trasparenza non rendono merito alla presenza in consiglio e direttivo di autorevoli rappresentanti non solo della Provincia di Milano ma di ben nove istituzioni».
Insomma, Gavio fa solo gli interessi di Gavio?
«Noi possiamo comprendere che la politica e i suoi rappresentanti esprimano giudizi fra loro contrastanti e questo rientra nella logica della politica. Quello che non riusciamo a comprendere è che rappresentanti delle istituzioni esprimano giudizi temerari, non voglio andare oltre, sui noi. Continuando con questo atteggiamento, il dialogo rischia di interrompersi ancora una volta e non per colpa nostra».


Otto euro per azione le sembra un prezzo congruo?
«Abbiamo pagato 7 euro lo 0,68 per cento del comune di Pavia. Qui offriamo un euro in più per il valore strategico. Poi, se si farà l’asta, vedremo quel che succederà».

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