Blitz dei carabinieri, ma Maria non si trova

La coppia consegnerà un video che mostra la piccola

Paolo Bertuccio

da Genova

La casa passata al setaccio, così come quelle dei rispettivi genitori. La cameretta della bimba sezionata in ogni particolare, l’armadio coi vestitini esaminato a fondo. Un cellulare e un’agenda sequestrati. È il momento peggiore, il sabato di passione dei coniugi Alessandro e Chiara Giusto, di Cogoleto, Ponente genovese. Il loro legale, Giovanni Ricco, ci tiene a precisare che «si è tutto svolto nella massima tranquillità. I carabinieri hanno rimesso tutto in ordine, dopo le ricerche, e posso dire, dopo trent’anni che faccio il penalista, che non ho mai visto tanta gentilezza nelle forze dell'ordine». Di certo il tatto e la discrezione sono l’unica strada, quando si tratta di un’indagine dai risvolti psicologici molto delicati come quella sulla piccola Maria, o Maša, la bimba bielorussa che la coppia ligure che l’aveva in affido ha nascosto pur di evitarle di tornare nella città di Vileika, nell’inferno che laggiù chiamano sinistramente «internat», istituto per orfani. Dove ha subito violenze e sevizie e dove, ha detto ad Alessandro e Chiara, non vuole tornare mai più. Altrimenti si uccide.
Nel pomeriggio di ieri è rimbalzata una voce, subito smentita, secondo cui le forze dell’ordine avrebbero individuato e circondato il nascondiglio della piccola. Niente di tutto questo, in realtà: la piccola è ancora al sicuro e, sono sempre parole dell'avvocato Ricco, «è curata adeguatamente». Roba da cinema, l’appostamento intorno al rifugio: a dire il vero, la battaglia si svolge più che altro sui tavoli della diplomazia. I coniugi Giusto, ora come ora, sono in guerra con uno Stato estero. L’ambasciatore bielorusso in Italia, Aleksej Skripko, si trova nella difficile posizione di chi deve difendere il proprio Paese dalle accuse di - per usare un eufemismo - scarso riguardo nei confronti dei minori. E allora fa quel che deve fare: il diplomatico. Ciò significa che, dopo aver chiesto con estrema fermezza alla famiglia ligure nel pomeriggio di venerdì prove concrete che Maria sta bene, il mattino dopo si è addolcito, adoperandosi per mettere in contatto telefonico un compagno di «internat» di Maria, il piccolo Ivan, con la «mamma» italiana affidataria. Salvo poi tornare con durezza a rispondere ai coniugi Giusto. Loro avevano offerto di diffondere un video della piccola. Lui ha replicato che un filmato non è sufficiente a provare «che Maria sta bene e soprattutto che non vuole tornare in un altro istituto, non in quello di Vileika». Laconica la contro-risposta del legale: «Si accontenteranno di quel che gli manderemo». La diffusione del video è prevista per martedì o mercoledì.
Ciò che sentono Alessandro e Chiara è che combattere da soli una guerra contro un Paese straniero è dura, troppo dura. Per questo chiedono l’aiuto del proprio Stato: la giornata di lunedì, in questo senso, sarà campale. È in programma un incontro della famiglia e dei legali con il sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre, e questo colloquio è importantissimo per chiedere garanzie di sicurezza («chi ci assicura che un giudice bielorusso non possa incriminarci per sequestro di persona?», si chiedono i legali) e portare al proprio fianco le istituzioni italiane: «Le istituzioni devono preoccuparsi non solo dei principi di legalità, ma anche di umanità». Questa la linea, contenuta in uno dei tanti comunicati degli avvocati dei coniugi Giusto: prima di tutto la sicurezza, fisica e psicologica, di una bambina indifesa; poi tutto il resto: l’incidente diplomatico, il procedimento penale per sottrazione di minore.
Certo è che non tutti la vedono così: il blocco da parte delle autorità bielorusse delle cosiddette vacanze di salute per i bimbi dell'area colpita dal disastro di Chernobyl ha inasprito le polemiche tra le stesse famiglie affidatarie, spingendo l'Avib, la federazione che raccoglie due terzi delle associazioni che si interessano dell'accoglienza dei bimbi bielorussi, a premere sulla famiglia Giusto. Una triste situazione, che ha portato i due giovani liguri a definire senza mezzi termini «un vile ricatto» il «niet» di Minsk ai soggiorni che spesso rappresentano l’unico barlume di speranza per tanti bambini provenienti da una terra avara di sogni.
Il braccio di ferro continua.

La Bielorussia contro due trentenni liguri disposti, per amore, ad andare contro tutti, perfino a perdere ciò che avevano chiesto due anni fa: il diritto di adottarla. Perdere quello, piuttosto. Ma non la speranza di una vita migliore per Maša.

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