
Fioccano le offerte di accordo sui dazi sul tavolo alla Casa Bianca. «Abbiamo ricevuto finora 18 proposte nero su bianco», ha detto la portavoce Karoline Leavitt. «Il team economico del presidente sta lavorando alla massima velocità per concludere gli accordi». In particolare, secondo Politico Washington sarebbe «vicina» a un accordo generale con Giappone e India sul commercio, anche se per la definizione dei dettagli finali dell'intesa potrebbero volerci mesi. Se questo si rivelasse confermato, sarebbe la prova che un accordo è da considerarsi possibile anche con altri blocchi economici importanti come l'Unione europea.
Intanto c'è già la fila delle aziende decise a dribblare i dazi investendo miliardi per produrre di più in Usa. Ultima della fila, la svizzera Roche con ben 50 miliardi di dollari sul piatto del compiaciuto Donald Trump che, a pochi giorni dalle mosse commerciali che hanno sconvolto i mercati, ha già portato a casa la promessa di nuovi investimenti per oltre 260 miliardi di dollari. Un conto destinato a lievitare.
Il settore farmaceutico è uno dei più agguerriti. Eli Lilly ha annunciato la creazione di 4 nuovi impianti negli Usa, con una spesa di 27 miliardi nei prossimi 4 anni. Strategia simile, ma più in grande, quella di Johnson & Johnson: 55 miliardi per costruire nuovi siti da qui al 2030. Ultima a fare le valigie, la svizzera Roche che proprio ieri ha annunciato 50 miliardi nei prossimi 5 anni che daranno vita a 12mila posti di lavoro. L'impegno comprende «nuovi siti all'avanguardia per la ricerca e lo sviluppo, l'ammodernamento e la creazione di impianti di produzione in Indiana, Pennsylvania, Massachusetts e California e la nascita di un ulteriore stabilimento».
In precedenza si era mosso il settore dei semiconduttori. Il gigante taiwanese Tsmc si è già impegnato a rafforzare la sua presenza negli Usa con 100 miliardi di investimento. Il tutto, mettendo in agenda la costruzione di 5 siti di fabbricazione di chip e un centro ricerca che, una volta completati, garantiranno fino a 40mila nuovi posti di lavoro.
Nel mondo della moda e del lusso, il presidente del colosso francese Lvmh, Bernard Arnault, ha avvertito che il gruppo sarà «obbligatoriamente condotto ad aumentare le produzioni americane se i negoziati tra Ue e Usa sui dazi dovessero condurre ad una situazione svantaggiosa». E in scia si muoverebbe anche la francese l'Oreal.
In sorpasso anche il settore auto con Hyundai che ha già presentato un piano di investimenti negli Usa da 21 miliardi di dollari; Toyota, che sta invece valutando la possibilità di produrre la prossima versione del suo Suv Rav4, il più venduto, proprio negli Stati Uniti. Poi, Honda che sposterà la produzione del modello Civic con motore ibrido dal Giappone al suo stabilimento in Indiana. Guardando all'Europa, Volkswagen (come Audi) sta valutando la costruzione in Usa di alcuni modelli: «Sono in corso colloqui costruttivi con il governo statunitense», ha affermato la casa tedesca.
Per guardare all'Italia, nel colloquio della premier Giorgia Meloni con il presidente Trump è emersa la promessa di 10 miliardi di investimenti di aziende italiane negli States. Stellantis - che già è presente in America - ha espresso l'intenzione di investire 5 miliardi nella produzione di vetture negli Usa. E hanno ammesso di starci seriamente pensando anche alcuni produttori alimentari come Illycaffè e Lavazza che si sono detti disponibili a spostare addirittura il 100% della produzione per il mercato locale. Anche alcune grandi cantine vinicole sarebbero alla finestra: Antinori e Frescobaldi sono da tempo in California, nella Napa valley, Santa Margherita ha acquistato 21 ettari da coltivare in Oregon.
Di fatto, chi ha già un piede negli States potrebbe prendere a ruota questa decisione e applicarla con tempistiche più rapide: da Barilla a Diasorin passando per Essilux, Pirelli, Ferrero, Menarini o Zegna. Chi invece deve partire da zero impiegherebbe almeno due anni per il passaggio al nuovo mercato salva-dazi.
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