
Difficile immaginare una rappresentazione più netta e plastica della profonda frattura che separa Israele dalla Santa Sede, il premier Benjamin Netanyahu dall'appena defunto Papa Francesco. Il ministero degli Esteri israeliano ha disposto con un secco ordine, senza fornire spiegazioni, la rimozione dagli account ufficiali sulla piattaforma X di diverse ambasciate di Gerusalemme dei post di condoglianze per Jorge Bergoglio. Il messaggio cancellato era molto semplice, con minime varianti a seconda dei casi: «Riposa in pace, Papa Francesco. Che la sua memoria sia una benedizione». Più tardi, gli ambasciatori israeliani in tutto il mondo hanno ricevuto dal ministero anche la direttiva di non firmare libri di condoglianze esposti presso le rappresentanze diplomatiche vaticane.
Sono seguite reazioni non di rado indignate tra gli ambasciatori israeliani, e anche critiche al governo per una scelta che potrebbe approfondire il solco tra molti Paesi cattolici e lo Stato ebraico. E che si assomma al silenzio assordante che Netanyahu (così come il suo ministro degli Esteri, Gideon Sàar) ha finora mantenuto riguardo la notizia della morte del Papa. Si crea così inevitabilmente un caso, che comunque non giunge del tutto inatteso. Perché è a tutti noto che Francesco nelle parole del rabbino capo di Trieste, Alexander Meloni «è stato un Papa estremamente problematico per il mondo ebraico (...) e ne abbiamo risentito molto, soprattutto dopo il 7 ottobre 2023, nelle sue prese di posizione».
In effetti, è difficile non accorgersi dell'atteggiamento sbilanciato di Bergoglio a proposito della tragedia scatenata un anno e mezzo fa dal massacro di 1.200 cittadini israeliani, in massima parte civili inermi, perpetrato da miliziani di Hamas poco oltre il confine della Striscia di Gaza da cui si erano infiltrati. I richiami del Papa all'orrore di quella che è stata la peggior strage di ebrei dal 1945 a questa parte sono stati rari e non particolarmente sentiti. Viceversa, Francesco non solo ha dato fondo al vocabolario quando si è trattato di condannare lo spargimento di sangue palestinese a Gaza, ma ha anche compiuto una serie di gesti inequivocabilmente di parte, che gli sono valsi l'aperta simpatia e gratitudine del mondo arabo e l'irrigidimento nei suoi confronti di quello ebraico.
Le durissime accuse del Papa appena scomparso alla dirigenza politica di Israele «condotta immorale», «generazione di morte, distruzione e di una drammatica e ignobile situazione umanitaria», fino alla richiesta dell'apertura di indagini per accertare se si possa definire genocidio la campagna militare israeliana a Gaza sono in realtà accuse personali a Benjamin Netanyahu, che se l'è legata al dito. Fino agli ultimi giorni della sua vita, anche quando il solo parlare gli costava ormai estrema fatica, Francesco ha telefonato quasi tutte le sere a padre Gabriele Romanelli, parroco dell'unica chiesa cattolica di Gaza, argentino come lui, per manifestargli calorosa vicinanza. E questo gesto ripetuto, che si aggiunge al riconoscimento dello Stato palestinese e all'autorizzazione a esporre in Vaticano la sua bandiera, gli è valso ancor maggiori simpatie in campo musulmano. Da qui le aperte lodi in vita e ora in morte da parte di numerosi leader arabi, il riconoscimento di Abu Mazen a Francesco di esser stato «un fedele amico del popolo palestinese» e anche l'insolita rapidità della teocrazia islamica iraniana nel porgere condoglianze alla cristianità per la perdita di Papa Bergoglio.
Netanyahu dunque tace, e anche se prossimamente dovesse esprimere una qualche forma di cordoglio come invece ha fatto subito il presidente israeliano Isaac Herzog rimarrà il ricordo di un silenzio prolungato che parla più forte delle parole. L'unica frase finora trapelata in merito dal ministero degli Esteri di Gerusalemme richiama al fatto che «abbiamo reagito alle parole del Papa contro Israele durante la sua vita, non parleremo dopo la morte».
Arduo, dunque, immaginare Netanyahu ai funerali di Francesco sabato prossimo. Anche perché in teoria le autorità italiane sarebbero tenute ad arrestarlo a seguito del mandato di cattura spiccato contro di lui dalla Corte Penale Internazionale. Ma questa è, decisamente, un'altra storia.
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