Le bombe di Al Qaida non fermano gli iracheni

BagdadAlla fine hanno vinto loro i più deboli, i più indifesi, ma anche i più coraggiosi e i più determinati. Hanno vinto gli elettori, i cittadini decisi a farla finita con terrore, instabilità, divisioni etniche e odi confessionali. Hanno sfidato la minaccia di Al Qaida, scacciato la paura, ignorato le bombe, conquistato le sezioni elettorali impossessandosi del proprio voto facendo volare le percentuali stimate d’affluenza intorno al 60 per cento.
Al mattino nessuno ancora ci scommette. Alle otto Karrada Street è un deserto d’asfalto e cemento. Nel grigio corridoio disegnato tra corazze di calcestruzzo e palazzine sprangate non si muove anima, non borbotta una marmitta. La città si stropiccia gli occhi, si culla tra voglia e paura, attende sonnecchiosa il coraggio dei primi. Dove sono? Nella via soltanto blindati, lampeggianti, kalashnikov, divise, occhi in allarme. Il maggiore Abbas e i suoi armigeri ti corrono incontro, la radio all’orecchio, il dito sul grilletto. Abbas ti perquisisce sussurra quella parola «terrorist» che risuona nel silenzio di una città vuota di traffico e umani.
Un po’ c’ha pensato il governo decretando il blocco totale. Un po’ ci mette del suo Al Qaida minacciando di far a pezzi chiunque «sfidi la rabbia del signore e le armi dei mujaheddin». La prima non s’avverte, delle seconde già si sente il sibilo. Prima un sussulto, poi un boato e un terremoto. Tanto che arrivi ai rotoli di filo spinato del seggio ne esplodono altre tre.
Sono le avvisaglie dell’uragano di bombe e sangue destinato a segnare le prime ore del voto. Karim Abdul Malek convocato come scrutatore in questa sezione della scuola superiore Omar Moktar scuote la testa. «È incominciata – sussurra - speriamo di vederne la fine». Lui e i suoi colleghi attendono a braccia incrociate davanti a pacchi di schede lenzuolo. Il seggio sembra una seduta spiritica in attesa del proprio fantasma. Ma non c’è tempo d’annoiarsi. Mortai e razzi katyusha esplodono con cadenza regolare. A ogni colpo la commissione alza gli occhi al cielo, chiede la grazia a un Signore che qui da anni non risparmia nulla. Ma se ai seggi è paura, altrove è già orrore. Intorno al quartiere sciita di Sadr City una coltre di fumo acre avvolge i resti di una palazzina. Da quelle rovine spianate da un katyusha emergono 25 cadaveri di donne, uomini, bambini. Sul resto della città piovono altri 70 fra razzi e colpi di mortaio. In poche ore muoiono altre sette persone.
Nelle altre città non va meglio. Alle 11 il bilancio totale nel Paese è di 38 morti e di oltre 100 feriti. Chi spara? La logica dice Al Qaida, ma nei quartieri sunniti le tesi si sprecano. «Sono gli sciiti, sparano da Sadr City, vogliono farci paura per tenerci a casa come nel 2005 – spiega sicuro Mustafa Shebib - ma stavolta non ce la faranno, faremo sentire la nostra voce». Mentre la sezione di Omar Moktar, la capitale e le città flagellate dalle bombe disperano, mentre le commissioni immobili abbandonano la speranza di metter mano a schede, timbri e inchiostro viola Allah fa il miracolo. Alle 11 la furia delle bombe, si prosciuga come un temporale estivo. Ora il sole illumina la prima avanguardia di coraggiosi, due donne velate, i mariti, un figlio per mano. Poi dietro tutti gli altri.
Ora le dita affondano nell’inchiostro, le schede lenzuolo scivolano nelle cabine, la gente esce sorridendo. «Per sette anni siamo sopravvissuti a tutto, se sperano di fermarci con qualche bomba i terroristi si sbagliano, ci hanno abituato al peggio e ora ne pagano le conseguenze li cancelleremo con la forza del voto e del cambiamento», dichiara il 56enne professor Munab al Waleb. È un sunnita, ma per lui e per molti altri arrivati a votare in questi quartieri il cambiamento fa rima con il nome del candidato di origine sciita Iyad Allawi. «La sua origine non conta, lui ha capito che questo Paese ha bisogno di tutti e deve tornare alla convivenza del passato quando sciiti e sunniti si sposavano tra di loro e dividevano gli stessi quartieri. Dopo il 2003 abbiamo provato l’orrore e nessuno lo può rimpiangere», racconta la 26enne Ala Baldawi. Il nome di Allawi e le sue idee sembrano decisamente aver conquistato le regioni sunnite dove l’affluenza sembra superare il 60 per cento. Nel Sud a maggioranza sciita il voto è invece un testa a testa tra il premier uscente Nuri Al Maliki e l’alleanza che riunisce il Supremo Consiglio Islamico (Sciiri) e l’agitatore Muqtada Al Sadr, espressione dell’integralismo religioso più intransigente. Nel Nord la vittoria se la spartiranno le fazioni curde.

Ma se il ricordo di sette anni di terrore e sangue è riuscita veramente a far pulsare il cuore laico di sunniti e sciiti allora i risultai, attesi non prima di giovedì, potrebbero veramente regalare ad Iyad Allawi il trionfale ruolo di ago della bilancia.

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