Dopo avere intervistato tanti cattolici praticanti che non lo sembrano (difficile immaginarsi Lucio Dalla battersi il petto, Ines Sastre pentita) eccone uno che ha il fisico del ruolo. Se Sandro Bondi si fosse presentato ai provini per Il nome della rosa l'avrebbero scelto per fare il monaco benedettino. Durante la Controriforma i pittori l'avrebbero usato come modello per santi in stile Carlo Borromeo, macerati dai digiuni ma consapevoli di non poter fuggire il mondo. La voce bassa e i modi gentilissimi, di più, dolcissimi, ne fanno un animale raro nel bestiario della politica italiana dove tra il dire e il fare c'è sempre molto spazio, e a tanti moderati basta poco per dimenticare i dovuti modi. Per Bondi la politica dev'essere una via crucis, lo accusano di tutto, di adulare Berlusconi, di aver voltato gabbana (fu sindaco comunista di Fivizzano in provincia di Massa) e perfino di scrivere poesie. La giustizia non è di questo mondo: nessuno rinfaccia a Veltroni i suoi romanzi. Veltroni non è Manzoni e Bondi non è Leopardi, chiaro, eppure il sindaco di Roma ha trovato sulla sua strada recensori entusiasti mentre il coordinatore nazionale di Forza Italia ha raccolto soprattutto risolini. La prova dell'incapacità bondiana di abusare del proprio ufficio è la vicenda professionale della moglie, professoressa universitaria che per trovare una cattedra è dovuta andare fino a Boston.
Ma non c'era un regime in Italia? Possibile che durante il governo Berlusconi la sua signora non abbia trovato un posto?
«Mia moglie, che è davvero brava e che è partita da sola con nostro figlio ancora piccolo, anche a Boston deve quasi tenere nascosto il fatto di essere sposata con l'onorevole Bondi. In America così come in Italia l'ambiente accademico è in gran parte influenzato dalla sinistra radical chic».
Lei è stato cattolico e comunista negli anni Ottanta. Si può essere cattolici e di sinistra oggi?
«Fino alla fine degli anni Ottanta a questa domanda si poteva rispondere di sì. C'erano marxisti come Claudio Napoleoni che si opponevano alla deriva laicistica, penso al suo formidabile saggio Cercate ancora e al suo dialogo con Augusto Del Noce. E il comunismo italiano, tradizionale e popolare, non era mai stato relativista né radical-libertario, basta leggere Gramsci».
E poi che cosa è successo?
«È accaduto quello che aveva previsto Pier Paolo Pasolini, con anticipazione profetica: l'allontanamento della sinistra dalle sue radici popolari e l'approdo a una grammatica dei diritti che conosce solo il pronome io. Questa sinistra è anti-cattolica per cui essere cattolici e stare a sinistra è diventato impossibile, a meno di non voler fare equilibrismi che però non hanno lunga vita, come dimostrano i teo-dem».
Lei che è uno studioso di storia religiosa del Cinquecento divide i politici non solo fra destri e sinistri ma anche fra agostiniani e domenicani. Chi sono i primi e chi i secondi?
«Essere agostiniani significa coltivare le virtù individuali e aspirare alla ricerca della verità che abita nel cuore dell'uomo. Essere domenicani significa invece far prelevare l'aspetto dogmatico, col rischio di essere schematici e poco attenti alle situazioni particolari delle persone».
Mi fa qualche esempio?
«Savonarola era domenicano. Durante gli anni di ricerca all'università di Pisa ho pubblicato un saggio su uno dei suoi avversari, l'agostiniano Leonardo Vallazzana, che dal pulpito della chiesa agostiniana di Santo Spirito, a Firenze, lo accusava di essere un eretico perché non distingueva fra la città di Dio e la città dell'uomo».
Qualche esempio contemporaneo.
«Savonarola rinasce sempre dalle proprie ceneri. A sinistra di Savonarola ce ne sono molti e anche a destra non mancano gli aspiranti. Un percorso, il loro, assai poco liberale».
Non mi fa nemmeno un nome?
«Penso a Rosy Bindi, verso cui peraltro ho stima e simpatia e a cui voglio dedicare una poesia. Ma anche lei è diventata un corifeo del laicismo, ha dichiarato di voler contribuire al laicismo del partito democratico: Si rende conto? E poi dicono di essere i seguaci di La Pira e don Milani! Non ho parole».
Nei suoi versi Rosy Bindi come verrà definita? Virgo prudentissima? Virgo veneranda? Ho notato che le sue poesie hanno la stessa struttura delle litanie lauretane.
«Non saprei. La rivista Poesia recensendo il mio libro ha creduto di vedere una rassomiglianza con gli haiku giapponesi».
Ha letto l'Antico e il Nuovo Testamento? Quale episodio considera più importante?
«Sì, credo. Credo che il Discorso della Montagna sia il cuore del messaggio evangelico e quindi il cuore del cristianesimo. L'amore è la carta di presentazione del cristiano. Non la sapienza, non i valori distinguono il cristianesimo ma soltanto la testimonianza personale dell'amore».
Sull'amore ci ha scritto anche un libro.
«Un saggio intitolato La civiltà dell'amore per ricordare come la forza dell'amore rappresenti l'unica vera possibilità di edificare una società migliore, realizzando una vera rivoluzione, ma una rivoluzione interiore. Può aiutarci molto il pensiero femminile che si fonda su una concezione dell'amore che supera le ideologie».
Con la sua ammirazione per le donne sarà un devoto mariano.
«Sono molto devoto a Santa Caterina Labouré».
Ho un vuoto di memoria.
«È la santa a cui apparve la Madonna nel 1830 a Parigi. Sono voluto andare a Rue du Bac, nella chiesa della visione».
Come mai una santa francese?
«Una mattina, a Roma, un'anziana signora mi ha consegnato la medaglia miracolosa che riproduce l'avvenimento. Da allora non l'ho più abbandonata. Mi ha aiutati nei momenti più difficili della mia vita e della mia famiglia».
Ma chi era quella signora?
«Non la conoscevo, è stato un incontro strano, alla fermata dell'autobus di piazza Venezia».
A Roma quali chiese frequenta?
«Ovunque mi trovi, ogni volta che posso entro in una chiesa per raccogliermi in preghiera. A Roma mi piace prendere parte alla messa di Sant'Andrea delle Fratte, la chiesa in cui è avvenuta l'improvvisa conversione dell'ebreo Alfonso Ratisbonne e in cui venne celebrata la prima messa del Beato Massimiliano Kolbe».
E qual è la chiesa della sua infanzia?
«Sono cresciuto in Svizzera fino all'età di nove anni, dove la mia famiglia era emigrata. Mio padre faceva il muratore. Quindi ho ricevuto la prima educazione religiosa nella parrocchia cattolica di San Giuseppe a Losanna. Ricordo ancora con emozione il giorno in cui il nostro parroco ci salutò per partire missionario in Africa».
Quindi lei proviene da un contesto povero.
«La mia terra, la Lunigiana, è sempre stata terra di emigrazione. Mi commuove ancora ciò che diceva ai nostri emigrati un amico letterato, il professor Loris Jacopo Bononi: Ricordatevi sempre che appartenete a una terra nobile in cui si stampavano libri prima che a Londra e a Bruxelles».
Lei appare come una persona dai costumi molto sobri, quasi monacali. Siccome le persone troppo virtuose rischiano di risultare antipatiche, mi racconta qualche vizio?
«Ne ho almeno tre, ma non posso dire quali. Un'intervista per quanto intima non è una confessione».
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