Borsa, il blitz su Bnl fa correre le banche

Balzo di Unipol (+7%) Via Veneto scivola sotto il prezzo dell’Opa. Bene Mediobanca

Massimo Restelli

da Milano

Dopo l’energia il credito: il passaggio lampo di Bnl nell’orbita di Bnp Paribas e il new deal di Bankitalia alimentano la scommessa di una nuova stagione di fusioni tra le banche dello Stivale. A crederci è in primis Piazza Affari che si è risvegliata dal fine settimana sotto una pioggia di acquisti da parte di fondi di investimento, hedge fund e grandi banche d’affari internazionali. Tutti interessati a guardare oltre al dossier Bnl che ha così ripiegato del 2,56% chiudendo a quota 2,89 euro, malgrado i 2,925 euro promessi dell’Opa di Bnp e la promozione di Fitch. Opposta la reazione di Unipol salita del 6,9% complici i 4 miliardi di capitale libero su cui potrà fare perno la compagnia.
I transalpini (meno 2,1% a Parigi) hanno avviato l’iter dell’Opa, giudicata generosa da alcuni analisti, ma Piazza Affari scommette su un effetto domino nella convinzione che la barricata eretta da Antonio Fazio sia dissolta. Con il conseguente risveglio degli appetiti esteri e il probabile arrocco dei gruppi nostrani. Da cui potrebbero sorgere realtà dal respiro europeo che superino la frammentarietà di un mondo che conta 700 attori di cui una ventina quotati: a tutt’oggi solo Unicredito Italiano ha concluso una grande fusione con la tedesca Hvb.
Ecco perché osservate speciali sono le realtà più contendibili o dove è più forte la mano dei soci internazionali. A partire da Capitalia (più 7,57%) che a ottobre potrebbe vivere un delicato passaggio azionario se gli olandesi di Abn Amro decidessero di ritirarsi per concentrare le forze su Antonveneta. Alcuni ipotizzano che, persa Via Veneto, il Bilbao non rinuncerà a una rivincita in Italia ma a rendere appetibile Capitalia concorre lo stesso portafoglio di partecipazioni che spazia dal salotto finanziario di Mediobanca (più 4%) a Generali (più 2,2%) che si preparano a uscire da Bnl con una plusvalenza di oltre 250 milioni.
A porre il gruppo di Matteo Arpe al centro della scacchiera è stato tuttavia anche uno studio di Morgan Stanley che insieme a Goldman Sachs ha giudicato «attraente» il settore italiano in considerazione della linea di neutralità del governatore Mario Draghi. Ricostruzioni che hanno portato a fissare gli occhi sul Sanpaolo (più 3,59%) dove gli spagnoli del Santander hanno accettato una lunga «anticamera» così come il Crédit Agricole in Banca Intesa (più 3,2%) e ieri intanto l’Inail ha ceduto sui blocchi lo 0,7% di Piazza San Carlo. Nei prossimi due anni si scommette quindi sull’avvento anche in Italia di «superbanche» nate o dall’avanzata estera o dall’integrazione di due campioni nazionali o assorbendo realtà di media dimensione. Ecco perché nei report, Morgan Stanley compresa, si rincorrono gli identikit di Credem (più 5,8%), Banca Lombarda o Carifirenze (più 3,8%) dove Bnp ha una partecipazione destinata a finire sul mercato. Nomi non nuovi per gli esegeti del risiko ma questa volta il «contagio» ha coinvolto anche Mps (più 1,9%), dove la Fondazione di Giuseppe Mussari dovrà trovare un equilibrio compatibile con il limite al 30% dei diritti di voto, Carige (più 1,59%) o micro realtà come il Banco Desio (più 3,3%).

Un clima febbrile esteso al mondo delle popolari, peraltro protetto dall’egida del voto capitario, dove oltre a gruppi potenzialmente aggreganti come Bpvn (più 4,8%) e Bpu (più 3,2%), si è infammata Bipiemme (più 7,15%). Il cui presidente Roberto Mazzotta ha più volte proposto di dare vita a una «Superpopolare del Nord».

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