“Non sono mai stata una formichina, ho sempre avuto le mani bucate. Ho sempre pensato che quello che guadagnavo era così bello ed era bello spenderlo. Quelli che sono ricchi veramente sono coloro che hanno saputo risparmiare, io invece sono l’esatto opposto”. Serena Grandi, star del cinema italiano degli anni Ottanta e ora dedita alla scrittura, ha un rapporto molto controverso con il denaro, definendosi più cicala. Nella sua biografia Serena a tutti i costi (Giraldi Editore) scrive che le attrici, all’epoca, dovevano seguire la regola delle tre esse: sesso, soldi, successo.
Quanto sono importanti i soldi per lei?
“Sono così importanti che non li ho mai tenuti. Sin dall’inizio. Al solo pensiero che avrei avuto un compenso per un lavoro, l’avevo già speso (ride, ndr). Mi viene in mente mia madre, come scrivo anche in una delle lettere che compongono il libro, quando diceva che non si è mai troppo ricche, né troppo magre. Aveva ragione."
Cosa ha acquistato con il guadagno del primo lavoro importante?
“Ricordo la gioia del primo stipendio, anche se ovviamente ne ho lasciato un po’ a casa, alla mamma per contribuire anche io alle spese. Poi appena ho avuto la possibilità ho acquistato un piccolo appartamento a Roma proprio di fronte a quello dove abitavo e l’ho affittato. Volevo avere la possibilità di avere la finestra della mia abitazione – una casa che mi era stata assegnata da un ente statale, allora abitavo ancora da sola e ne avevo i requisiti - che guardava quella di proprietà messa in affitto e mi sentivo gratificata. Cominciavo a mettere a frutto i sacrifici."
L’oggetto a lei più caro?
“Un bracciale in oro regalatomi da quello che poi divenne mio marito, Beppe Ercole, con i diamanti a comporre la scritta: "Sono pazzo di te". Quella dichiarazione fu una sorpresa e un’emozione. Allora ero una fan di ogni accessorio prezioso. Ancora lo conservo gelosamente e, ogni volta che lo indosso, mi riporta a Venezia, quando lo indossai per la mia prima volta alla Mostra del Cinema. Molti altri gioielli, invece, che negli anni mio marito mi aveva regalato, li ho, nel tempo, cambiati o venduti. Del resto non è che tutta la vita sei sempre la star, a volte cambiano le necessità e tornano utili”.
Non regalatemi fiori, ma Cartier, questo il suo motto. Ha ricevuto molti regali?
“Ho sempre sostenuto che i fiori appassiscono, i gioielli restano. E di regali ne ho avuti diversi. Una borsettina d’oro, sempre da mio marito, in occasione dell’uscita del film Miranda, diretto da Tinto Brass, uno dei miei primi grandi ruoli da protagonista. Aveva la M di Miranda tempestata di brillanti. Uno sfarzo. Ricordo che la indossavo il giorno del nostro matrimonio, su un elegante tailleur nero, e vuoi per la fretta, vuoi per l’emozione, la lasciai sul taxi, ma per fortuna il tassista me la riportò. Pure Silvio Berlusconi, una volta mi fece arrivare, dopo una puntata in uno dei suoi programmi in tv, un bracciale con molto bello brillanti e un bigliettino di complimenti. Onestamente non ho mai saputo se è stato lui direttamente o un’idea del suo entourage. E poi una volta addirittura una Ferrari bianca – la trovai infiocchettata sotto casa - da un personaggio che meglio non citare. Io poi ero già sposata, e ho prontamente rispedito la macchina al mittente."
Qual è il suo rapporto con l’arte, investe in opere d'arte?
“Amo l’arte e in passato ho comprati molti quadri, soprattutto nel periodo in cui ho avuto un piccolo negozio di antiquariato e li ho sempre portati in tutte le case che ho cambiato. Sono soprattutto firmati da artisti danesi. E poi ho diverse gouache napoletane, quadri dipinti con acquerelli. Certo mi sarebbe piaciuto avere uno Schifano, o qualcuno dei macchiaioli della scuola napoletana”.
Si occupa direttamente lei dei suoi affari?
“Ho un agente che si occupa di un certo tipo di fatturazione. Per gli affari ci penso da sola e infatti ho sempre sbagliato (ride ancora, ndr). Un tempo ero seguita ma oggi il lavoro è molto calato, gli scrittori non guadagnano molto. Anzichè scegliere di dedicarmi alla scrittura avrei dovuto optare per altro di più fruttuoso."
È appassionata di Borsa e temi finanziari?
“Assolutamente no. Se mi arriva una lettera con dei numeri, che poi di solito è una lettera di una banca, già mi sento male. Odio tutto quello che è legato ai numeri e ho sempre avuto un’invidia verso chi giocava in Borsa, tipo una mia cugina che riusciva a guadagnare bene. Non so nemmeno cosa siano le criptovalute, per me è parlare arabo e ovviamente ho declinato l’offerta quando mi hanno proposto di investire. Resto un’artista."
Nel suo romanzo L’Uomo venuto dal Po ricorre spesso il tema del lavoro. C’è qualche riferimento ad attività personali?
“L'ho scritto a quattro mani con il regista Carlo Alberto Biazzi e la storia ovviamente è romanzata. Per quel che mi riguarda sia comprando case che piccoli negozi di antiquariato ho sempre ricavato il giusto, meno bene mi è andata con il ristorante a Rimini. Lì è stato puntare sul nero ed è uscito il rosso. Un negozio lo gestisci perché sei stata sposata con uno del mestiere, per il ristorante devi essere del mestiere. Ecco perché ho toppato."
Come sono cambiati i cachet degli artisti?
“I tempi sono cambiati. Una volta si gestiva tutto con gli esercenti del cinema e le grandi produzioni avevano a che fare con loro. Oggi non capisci più se lavori per una piattaforma o sei sostenuta da mille brand. Le paghe sono totalmente diverse. Non credo che più di tanto girino soldi e certo ho sempre la sensazione di non guadagnare abbastanza, ma di adeguarmi."
Sta lavorando a un nuovo romanzo, i suoi personaggi sono ricchi?
“Sì molto ricchi. La mia fantasia si sbizzarrisce per la ricchezza dell’arredamento, del lavoro.
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