Bpm, ora i sindacati giocano la carta Unipol

Malumori per la governance del nuovo gruppo I progetti della compagnia assicurativa bolognese

Bpm, ora i sindacati giocano la carta Unipol

Massimo Restelli

da Milano

Il via libera formale alle trattative in esclusiva con Bper è arrivato, ma in Bpm la situazione è tutt’altro che tranquilla. Ieri, per tutto il giorno, si sono succedute verifiche e riunioni informali delle principali sigle sindacali. Sono loro a esprimere 16 dei 20 consiglieri d’amministrazione di Bpm (in testa Fabi con 7 consiglieri e Fisac-Cgil con 5) e l’altro ieri hanno votato disciplinatamente il via ai negoziati. Ma all’interno delle diverse componenti sembrano rimanere perplessità e malumori. La fronda si concentrerebbe su alcune garanzie chieste al presidente della popolare milanese Roberto Mazzotta, relative alla governance della holding cooperativa che reggerebbe le sorti della banca frutto della fusione.
Sulle concessioni ai sindacati Mazzotta avrebbe mostrato la propria disponibilità. Di tutt’altro parere sarebbe il numero uno della Popolare dell’Emilia Romagna, Guido Leoni, il quale avrebbe di fatto posto tra le condizioni per le nozze un sostanziale ridimensionamento dei poteri affidati ai dipendenti.
A proprio vantaggio i sindacati avrebbero la forza dei numeri: la procedura per l’eventuale fusione, almeno come è emersa fino ad ora, prevederebbe una holding popolare e due subholding (le attuali Popolare Milano e Popolare Emilia) che controllerebbero le due reti e assumerebbero la forma di società per azioni. Per la trasformazione sarebbero necessarie assemblee straordinarie in cui ogni singolo voto sarebbe prezioso.
Non solo. A rafforzare la posizione dei più recalcitranti ci sarebbe anche il possibile materializzarsi di un’alternativa al matrimonio Bpm-Bper che a livello sindacale viene ventilata con sempre maggior forza in queste ultime ore: un’alleanza bancassicurativa «a geometria variabile» tra Popolare Milano e Unipol. Di un possibile ingresso della compagnia assicurativa bolognese nella vicenda si era già parlato nelle scorse settimane, ma sembrava un’ipotesi teorica legata a una eventuale partita a tre. Ora il discorso sembra riguardare solo la società guidata da Carlo Salvatori e la banca milanese, con la possibile partecipazione, più o meno simbolica, della banca d’affari internazionale che sta studiando il progetto. Il piano sarebbe «a geometria variabile» perché aperto a varie ipotesi: si andrebbe dalla fusione vera e propria alla messa in comune solo di alcuni asset (immediato pensare agli sportelli di Unipol Banca).
Dal punto di vista dei sindacati il progetto avrebbe il merito di sollevare i dipendenti dall’accusa di opporsi a novità ed alleanze. Allo stesso tempo sarebbe «soft» per quanto riguarda il mantenimento dei poteri sin qui goduti, vista anche l’origine cooperativa di Unipol.
Dal punto di vista della compagnia l’intesa sarebbe la svolta strategica tanto attesa. Salvatori ha ricevuto il mandato di chiudere una grande alleanza nel campo della bancassurance. Da mesi si trascinano le trattative con le banche di credito cooperativo. I risultati per il momento non sembrano esaltanti: gli organismi centrali del credito cooperativo sembrano, secondo alcuni giudizi di manager vicini al dossier, più associazioni di categoria che holding operative. Di tutt’altra portata potrebbe essere un’intesa con la Popolare di Milano.
Anche per questo nelle settimane scorse dal mondo delle cooperative sono arrivati segnali inequivocabili rivolti alle forze sindacali dell’istituto milanese. A non sentirci, per il momento, è Mazzotta, convinto della necessità di un’alleanza puramente bancaria.
L’intesa per altro ieri non ha incontrato i favori della Borsa. Entrambi gli istituti hanno perso terreno: per la Popolare di Milano il calo è stato dell’1,1% a 11,33 euro, per quella dell’Emilia il ribasso ha toccato il 2,58% a 19,25 euro. Lo scarso entusiasmo nasce da motivi esattamente opposti a quelli che non piacciono ai sindacati.

La struttura federale ipotizzata dai due consigli sembra troppo timida e troppo larga di concessioni ai dipendenti. La creazione della holding «leggera» in testa al nuovo gruppo, sembra, secondo gli analisti che si sono espressi in questi giorni, inadeguata ad apportare significativi risparmi.

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