Dopo molti film che parlano di guerra qui alla 81a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica e che rigorosamente pongono solo domande e non danno risposte, ecco che arriva uno dei geni del cinema statunitense contemporaneo, Brady Corbet, 36 anni e una carriera da attore interrotta proprio dieci anni fa con due film interessantissimi da regista (The Childhood of a Leader - L'infanzia di un capo del 2015 e Vox Lux di tre anni dopo, entrambi presentati qui al Lido), che spiega tutto, a partire dall'antisemitismo sempre più che strisciante e realizza il suo capolavoro, The Brutalist. Complesso, eccessivo, brutalista e barocco allo stesso tempo, esperimento di racconto di una epopea americana, dal 1947 al 1980 in 215 minuti (con un intervallo di 15 minuti, con tanto di countdown, parte integrante dell'opera), girata in pellicola 70mm con il formato VistaVision introdotto negli anni '50 dalla Paramount in alternativa al Cinemascope. E The Brutalist è esattamente un film «bigger than life» che racconta la storia inventata dell'architetto ebreo László Tóth, scappato dall'Ungheria e riparato negli Stati Uniti nel 1947. Nella classica sequenza dell'arrivo in nave a New York, il regista spiega già come si possa cadere dalla padella nella brace, con l'immagine della Statua della Libertà capovolta. Perché László Tóth, che arriva senza la moglie che non è ancora riuscita a lasciare l'Ungheria, è costretto a lavorare duramente e a vivere in povertà finché non incontrerà un milionario (Guy Pearce) disposto ad affidargli un megaprogetto, su una collinetta deserta fuori Philadelphia, che diventerà la sua ossessione per i successivi 30 anni, quando la moglie (Felicity Jones) lo ha già raggiunto con la nipote.
Il rapporto di Tóth, interpretato magistralmente da Adrien Brody (la cui mamma e grande fotografa Sylvia Plachy è fuggita dall'Ungheria per gli Stati Uniti ma nel 1956) che ha già prenotato la Coppa Volpi come migliore attore (e il film il Leone d'Oro...) con il magnate è molto complicato non solo perché, da buon bianco cristiano, è fondamentalmente antisemita, ma anche perché entrano in gioco i rapporti tra il committente, che vuole comunque risparmiare, e l'architetto che non è disposto a cambiare un metro quadrato del suo progetto maestoso costruito anche con il marmo preso direttamente a Carrara. Solo su questo aspetto è forte il richiamo al film La fonte meravigliosa diretto nel 1949 da King Vidor e basato sul romanzo omonimo di Ayn Rand. Mentre per il resto il film racconta molto bene anche la nascita dello Stato di Israele dove per prima la nipote, e poi la moglie dell'architetto (e probabilmente alla fine anche lui) si trasferiranno perché non integrati nella società americana.
«Per The Brutalist spiega il regista la mia guida è stato il libro Architecture in uniform di Jean-Louis
Cohen che mi ha rivelato che non esistevano grandi architetti europei che, dopo la guerra, avevano potuto realizzare dei progetti in Usa. L'ho trovato terribile e ho voluto inventare la storia di uno che ci era riuscito».
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