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Un Bronzo di Riace potrebbe essere il ritratto di Pericle

A Reggio Calabria domani si discute di Bronzi di Riace

Un Bronzo di Riace potrebbe essere il ritratto di Pericle

A Reggio Calabria domani si discute di Bronzi di Riace. I cinquant'anni dal ritrovamento sono passati inosservati, ed è un peccato. Potevano essere un'icona del Sud, «la Coca Cola della Calabria», per dirla alla Klaus Davi, ma nessuno ha investito nella loro narrazione, nessuno sa con certezza chi li ha realizzati con una lega che conterrebbe rame spagnolo e cipriota, una tecnica di fusione molto particolare, con labbra e capezzoli di rame, occhi di calcite, denti d'argento e caruncola lacrimale realizzata con una pietra rosa posta fra occhi e naso. Il Giornale l'anno scorso ha provato a ricostruire tutta la storia, facendosi aiutare dal professore di Numismatica greca e romana all'Università di Messina Daniele Castrizio. Secondo i suoi studi i Bronzi «erano biondi e dorati», realizzati nella bottega di Pythagoras di Reggio a metà del V secolo a.C. ad Argos nel Peloponneso e rappresenterebbero i fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice, figli di Edipo re e protagonisti del mito dei Sette a Tebe. Viaggiavano assieme ad altre opere d'arte - forse le statue di Antigone, Giocasta e Tiresio - verso Costantinopoli nel IV d.C. quando una tempesta li consegnò alla Storia.

Una narrazione meravigliosa, sostenuta da studi e ricerche durati anni. Alla quale se ne affiancano altre: Castore e Polluce, o Milziade, Anfiarao e Tideo. Eroi delle battaglie greche ma anche atleti o oplitodromi. Alcune sono improbabili, ma non per questo meno affascinanti. La più nuova, costruita su fonti storiche e sul linguaggio corporeo, è che fossero due eroi greci del V secolo a.C. come Pericle e Temistocle, l'eroe di Maratona e Salamina che sconfisse il persiano Serse. «Ho pensato che la Statua B potesse essere Pericle per la testa di forma particolare», dice al Giornale Riccardo Partinico, che illustrerà questa suggestiva ipotesi al convegno moderato da Carmelina Sicari, intellettuale e studiosa di arte e letteratura antica. In effetti altre statue del generale che governò Atene dal 460 a.C. somigliano moltissimo, anche nella mimica facciale imperturbabile, negli zigomi e nelle labbra, alla faccia del Bronzo più vecchio. Lo stesso vale per quelle di Temistocle. L'ipotesi sull'identità fisica e personale dei Bronzi di Riace non dispiace neanche alla Sicari: «L'aretè, la virtù di assolvere al proprio compito corrisponde alla fisionomia dei Bronzi e si unisce all'eudaimonia, alla felicità intesa come imperturbabilità, assenza di angoscia, serenità anche di fronte alla morte. Il sorriso sulle labbra significa questo, non la ferocia della vendetta».

«La mia ipotesi avrebbe potuto arricchire maggiormente la storia e la notorietà delle due statue e ampliare la visione di studiosi e appassionati proprio nell'anno del cinquantesimo anno dal ritrovamento», lamenta Partinico. E invece il Museo guidato da Carmelo Malacrino che li ospita a Piazza de Nava, luogo novecentesco preda di una incomprensibile furia iconoclasta, ha deciso di puntare solo sulla versione di Castrizio e di boicottare le altre. Ma perché tutelare un'interpretazione a scapito di altre? La Gioconda potrebbe essere il Salaino, Leonardo da Vinci stesso, Isabella d'Este.

Nessuno si sognerebbe di imporne alcuna, perché ne alimentano il mito, non lo sgretolano. E certo non è servito a rendere le due statue l'icona di un Sud che ha voglia di combattere. Come i Bronzi forse vorrebbero, invano, da 50 anni.

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