Brosnan: «Divento un assassino poi per un anno lascio il cinema»

L’attore irlandese è il protagonista del giallo «Il Matador»

Mariangiola Castrovilli

da Londra

È davvero un altro il nuovo Pierce Brosnan, incanutito con pizzetto e baffi sale e pepe come appare nel suo ultimo film Il Matador. Smessi i panni superchic e le maniere sofisticate di James Bond, si fatica non poco a riconoscerlo in quelli dello psicopatico assassino su commissione.
Sicuro di aver detto addio per sempre a 007?
«Credo che sarò ancora lui finché non sarà ufficiale il nome del mio erede - esordisce sorridendo Brosnan -, d’altra parte ho investito una parte della mia vita nei quattro film al servizio di sua maestà, che mi hanno permesso di creare una mia società, e soprattutto operare delle scelte soddisfacenti. Ecco le scelte, una cosa che tutti gli attori vogliono potersi permettere».
Si però era opinione comune che sarebbe stato ancora per una volta l’agente più famoso del mondo...
«È un po’ come lasciare le cose a metà, una sensazione di non finito, anche perché, all’improvviso e in corso d’opera, sembra che i produttori abbiano cambiato idea riguardo il mio ruolo. Non nego di essere rimasto un po’ deluso, ma è una loro prerogativa e io, per quello che è durato, mi sono divertito abbastanza».
Perfetto gentleman in Gioco a due, rifacimento de Il caso Thomas Crown, avvocato divorzista di successo in Matrimonio in appello, ladro in pensione in Dopo il tramonto che uscirà in Italia il 19 ottobre in dvd e vhs, Brosnan confessa di amare le sue incursioni nel mondo dello spionaggio, perché è «il lavoro di un uomo solitario sul filo sottile che separa il legale dall’illegale. E qui, ne Il Matador prodotto dalla Miramax e che uscirà in America ai primi di gennaio, sono decisamente fuori legge, come sono fuori della società civile e, se vogliamo, anche un po’ fuori di testa».
Come si è calato nei panni di Julian, un personaggio sprezzante, così distante da tutti i suoi ruoli?
«In un primo tempo mi è venuta una crisi di insicurezza: mi sono posto tanti interrogativi, c’era il rischio di perdere la simpatia del pubblico, perché è inutile negarlo si tratta di un copione audace con un protagonista completamente privo di senso morale. Dopo aver espresso a voce alta tutte le mie insicurezze, mentre il regista Richard Shepard e il produttore mi ascoltavano in silenzio, ne sono venuto fuori. Ho smesso di preoccuparmi e ho pensato: in fondo è semplicemente una nuova avventura, diamoci dentro e sarà quel che sarà».
Timori risolti in breve tempo quindi?
«Sì, anche se ho cercato però di cautelarmi. Infatti, appena letta la sceneggiatura, che certamente rappresentava una sfida intrigante proprio per la costruzione di questo assassino dalla psiche tormentata, l’ho spedita al dipartimento di polizia di Los Angeles, a una psicologa specializzata in menti criminali distorte. Un’idea felice perché il suo è stato un apporto determinante, grazie anche alla sua profonda, quotidiana esperienza con il mondo degli psicopatici. La sua accurata analisi in molti tratti coincideva con il mio modo di sentire il personaggio. E poi devo confessare che mi sono innamorato di come Shepard l’ha scritto questo Il matador, con una specie di ritmo jazz che avvolge il tutto senza lasciare mai intuire l’esito finale».
E ora cosa c’è dietro l’angolo del multiforme Brosnan?
«Un anno di riposo, da passare con mia moglie e i nostri due bambini di quattro e otto anni, un gran lusso che spesso i genitori non hanno.

Anche perché se devo essere sincero, un distacco dopo un ruolo così impegnativo e coinvolgente si imponeva. Con il continuo lavoro di costruzione e distruzione dei vari personaggi, avevo raggiunto un tale livello di saturazione che stava andando oltre ogni sopportazione».

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