IL BUONO E IL CATTIVO

L’ironia spesso è rivelatrice e chi ha definito la posizione dell'Udc di Pier Ferdinando Casini una folliniana «terra di mezzo», non è andato lontano dalla realtà. Il partito attraversa un momento delicato: il gruppo dirigente ha deciso non solo di differenziarsi ma, con la scelta di manifestare a Palermo, di consumare uno «strappo» dagli alleati. Siamo di fronte a un paradosso politico, perché dove non era riuscito il «rivoluzionario» Follini rischia di approdare il «lealista» Casini.
Follini, a forza di ripetere che la monarchia era finita e si era entrati nella fase del Termidoro, ha perso la segreteria e poi è entrato nel fantastico mondo di Tolkien. Casini non rischia di perdere la leadership, ma il partito. Le decisioni dell'alto livello infatti non sono comprese e condivise al livello basso, la cinghia di trasmissione tra la cabina di regia e l'elettorato sembra essersi allentata, consumata da un gruppo dirigente che ha trascorso parte della legislatura di governo a dispiegare una politica di «stop and go» e ora ha scoperto di essere «altra opposizione».
Il risultato è un altro paradosso: la strategia di logoramento di Silvio Berlusconi sta logorando l'Udc.
La manifestazione di Palermo è stata un errore politico e agli errori, ovviamente, si può spesso porre rimedio ma stavolta occorre maggiore saggezza politica, perché non c'è più nessuno schermo tra Berlusconi e Casini, non c'è Follini. Finché la partita centrista era giocata a due, con le parti del buono (Casini) e del cattivo (Follini), il copione funzionava: Follini rompeva e Casini ricuciva. Questa sceneggiatura ora è saltata e nel laboratorio di scrittura dell’Udc non sono riusciti ad approntarne una nuova che tenga il palcoscenico del centrodestra.
Gli elettori dell’Udc - come dimostra il sondaggio che pubblichiamo - sono scettici, dubbiosi, confusi. Lo scollamento tra la base e i vertici palpabile, soprattutto in quella che la cronaca minimalista chiama «periferia» e invece è la spina dorsale della politica italiana. Non a caso l’idea di affrontare le prossime elezioni amministrative in solitaria, l’Udc si limita a pavoneggiarla. Il comportamento dei dirigenti a livello locale conforta, testimonia che fanno parte integrante del centrodestra, che l’idea del Grande Centro non è seducente, che navigazione solitaria fa rima con scelta minoritaria, che il bipolarismo è un fatto acquisito nell’opinione pubblica ed è più forte delle alchimie elettorali, che il rischio di una sostituzione dell’Udc attraverso la Dc di Rotondi non è fantasiosa, ma concreta nel momento in cui il distacco tra i centristi e il loro elettorato arriva a un punto critico, quello del non ritorno.
Su un tema la riflessione di Casini è azzeccata: il centrodestra, l’esperienza della Cdl così com’è stata finora, deve essere aggiornata. Il programma dell’alleanza nata nel lontano 1994 deve essere rivisto, le sfide contemporanee affrontate con intelligenza e coraggio.

La federazione del centrodestra potrebbe essere il punto di partenza del rinnovamento e partecipando a questo progetto, un leader giovane e intelligente come Casini potrebbe stare dentro la coalizione e agire con efficacia in termini craxiani: consolidando il partito, facendolo maturare, allevando una classe dirigente nuova. È una chance da cogliere, per non tradire la collocazione naturale dell’Udc, per non correre il rischio della sua marginalizzazione nella vita politica italiana.

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