Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
«Prenderemo Bin Laden». George Bush rinnova la promessa, spostandola un po al centro delle sue allocuzioni dei giorni scorsi in ricordo della tragedia di cinque anni fa alle Torri Gemelle. E questo anche se nel suo discorso dellaltro giorno dalla sala Ovale egli ha dato limpressione di voler riportare lIrak al centro del discorso. Se il capo della Casa Bianca, e soprattutto i suoi consiglieri e i curatori delle sue public relation, hanno aggiustato il tiro ventiquattro ore dopo, è per due motivi concorrenti.
Il primo è la iperattività propagandistica di Al Qaida e del suo capo proprio nellanniversario, con loccupazione di un totale di due ore di tempo televisivo. Concioni prevalentemente a uso interno ma che sono state percepite da qualcuno come una specie di «controrelazione», di risposta diretta al presidente Usa con una conseguenza propagandistica che propone una sorta di «dibattito». Era dunque opportuno per Bush ristabilire le distanze e rimettere a fuoco la figura di Osama Bin Laden, non come un «interlocutore» o un «avversario» e neppure come un nemico, ma principalmente come il capo di una organizzazione criminale che ha fornito ed esibito le prove documentate del suo delitto. «LAmerica ti troverà e ti porteremo davanti alla giustizia». Questo il messaggio di Bush a Bin Laden.
Il secondo motivo è di tipo politico. Il discorso di Bush non è stato accolto dalla unanimità dei consensi . Buona parte dei mass media ha reagito in modo non dissimile da quello di uno dei leader storici del Partito democratico, il senatore Kennedy, che ha detto che Bush «dovrebbe vergognarsi per aver usato un giorno di lutto per andare a pesca di voti». Unopinione estrema così come spesso lo è quella di Kennedy anche allinterno del suo partito; ma che tuttavia si inquadra in un dibattito serrato che gli ultimi discorsi presidenziali hanno suscitato. Mancano meno di due mesi alle elezioni per il Congresso, i repubblicani sono o appaiono in difficoltà, una polarizzazione del dibattito in senso patriottico non può non metterli in imbarazzo. Mancano ancora le cifre più importanti, le statistiche su come i cittadini Usa giudicano il discorso. Lesperienza insegna però che nelle precedenti occasioni questa strategia ha funzionato, giocata sempre su un doppio messaggio emotivo: lAmerica è più sicura ma resta in pericolo, il terrorismo è stato sconfitto ma continua a essere una minaccia.
Il punto debole è ancora una volta lIrak. Argomento su cui Bush non poteva non essere sulla difensiva. Questa volta egli ha abbandonato i toni trionfalistici e ha ripiegato invece sullimportanza della posta in gioco, sulla centralità di Bagdad nella «guerra al terrore».
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