Addio GPO, prima il Toro e poi il giornalismo. Con la tua scrittura moderna stregavi i rivali

Colto, ironico, appassionato, Gian Paolo Ormezzano è stato cronista, inviato, direttore e scrittore

Addio GPO, prima il Toro e poi il giornalismo. Con la tua scrittura moderna stregavi i rivali
00:00 00:00

Possiamo spegnere la luce e abbassare la saracinesca. Con la scomparsa di Gian Paolo Ormezzano si chiude l’epoca del grande giornalismo sportivo che è poi un aggettivo direi razzista, di settore, mentre G, P, O, come lo chiamavamo utilizzando l’acronimo, che era la sua sigla di chiusura, è stato cronista, inviato, direttore, scrittore, narratore di storie e di atleti, di trionfi e di tragedie secondo la letteratura migliore di questo nostro mestiere ormai depresso o intossicato. Gian Paolo si teneva a distanza da tale vociare eccitato e pure ignorante, seguiva il football togliendo l’audio di cronache drogate, veniva lui da studi classici, il liceo Cavour di Torino, corso Tassoni, Livio Berruti fu il suo compagno di chiacchiere e sogni. È stato, dunque, giornalista completo, universale, cresciuto a Tuttosport di cui fu anche Direttore, inviato alla Stampa, firma di Famiglia Cristiana e clandestino su alcuni giornaletti porno come una volta a Sanremo mi volle confidare ma non vergognandosi affatto anzi sghignazzando il giusto, preti o puttane, l’importante era ricevere il dovuto.

Non era per questo un mercenario della penna, scrivere era la sua seconda passione, la prima era il Torino, poi il Toro, celebrava privatamente la tragedia del ‘49, saliva a Superga, rigando di lacrime il suo viso tondo che lo faceva somigliare ad un frate gaudente. E in fondo Gian Paolo la vita se l’è goduta davvero, senza enfasi anzi prendendola in giro prima di essere deriso dalla stessa.

La sua scrittura era modernissima, acchiappava chiunque, anche i rivali acerrimi, tra questi Giampiero Boniperti con il quale aveva cucito una specie di fratellanza di ironie e sarcasmi, infine di rispetto come era logico per la sua educazione. Ciclismo e pugilato, calcio e atletica leggera o festival di Sanremo, la differenza non stava nell’oggetto ma nel soggetto, nella cifra letteraria del giornalista, nella sua capacità di raccontare e di immaginare che è poi la virtù che distingue il reporter dallo scrittore o columnist.

Amava la Francia e una volta, dopo il Tour, la segretaria di amministrazione di Tuttosport, controllando la nota spese, gli domandò, con tipico triste spirito di travet della cassa: «Monsù Ormezzano, ma vedendo qui i conti del ristorante che ha presentato, era davvero necessario bere i vini francesi?». Beh, trattandosi di Francia la scelta non poteva essere differente e migliore, Gian Paolo rispose con un sorriso: «Al prossimo Tour soltanto barbera, va bìn parèi?». Andò benissimo.

Quello era il tempo bello degli inviati, si andava sul posto e Ormezzano fu, tra mille viaggi, testimone a capo Canaveral per il lancio di Apollo 11 corredato da una battuta storica (record mondiale di salto in alto) e poi viaggio in Africa, Biafra, poi una lunga intervista con Ali, con l’intercessione di un altro Gianni, un altro torinista, un altro grande giornalista, Minà, racconti di povertà e di speranza. Lo spazzolino da denti, la camicia e la mutanda di ricambio in valigia, pronta davanti all’uscio di casa, la leggendaria Olivetti a portata di polpastrello, via andare verso la cronaca che con lui si faceva storia, trasferte impossibili, treni o aerei, auto e torpedoni, un piede sul predellino e un bicchiere di buon rosso nella mano, l’aria romantica del mestiere che fu. Lo stesso accadeva quando, finita la lettura, prendevi ad ascoltare il suo racconto orale, spesso era un’orgia di parole e di pensieri, tutta roba vera, di gusto lungo perché questo è stato il giornalismo di un tempo ormai finito e sfinito, ormai scivolato nei bassifondi di zatteranti ed orecchianti, tutti figli di wikipedia.

Gian Paolo lascia una traccia profonda, per ultimo il Corriere

di Torino gli aveva concesso qualche spazio «pagato un nulla». Suo figlio Timothy ne protegge l’araldica. Nel tulle della malinconia rubo le parole di Giovanni Arpino: «Mai una lacrima, rischia di annacquare l’inchiostro».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica