Milena Bertolini lascia l’incarico da ct della Nazionale azzurra: l’ufficialità arriva con un suo comunicato stampa condiviso sui social, nella serata di ieri. L’allenatrice di Correggio classe ‘66 chiude così, a pochi passi dalla naturale scadenza del contratto che, dal 2017, l’ha legata alle sorti dell’Italia femminile: “Lascio la Nazionale dopo tanti anni e sento di ringraziare la Figc e Renzo Ulivieri per la grande opportunità che mi hanno concesso”, conferma nel finale della lettera “Sono stati anni bellissimi e molto intensi, che porterò con me…”.
È già dall’incipit del suo scritto – inevitabile citare la “sconfitta sportiva vissuta” – che l’ex coach del Brescia avvia un discorso che, in più parti, pare voler ribadire l’importanza del gruppo sopra ai singoli, delle relazioni sopra a tutto. Una tonalità, la sua, che riecheggia le parole scelte assieme dalle calciatrici della sua Nazionale proprio a seguito della dolorosa eliminazione sul campo di Wellington, e che puntavano il dito verso l’alto, senza far nomi ma generando forse proprio quella che Bertolini richiama in avvio come “quella posizione di ripiegamento su se stessi che cerca di far luce nelle ombre che rischiano di insinuarsi dentro di noi, imbruttendo la bellezza dell’esperienza vissuta”.
La versione di Bertolini
“Ripenso alla mia storia sportiva lunga più di quarant’anni, densa di esperienze a più livelli, ricca di vissuti, di legami, di condivisioni e di competenze maturate non solo all’interno della scuola di Coverciano, ma all’interno soprattutto di tantissime relazioni – quell'ancoraggio necessario, quando fuori imperversa la tempesta e tu hai bisogno di afferrarti saldamente”. Ritorna, il termine “relazioni”, in moltissimi passaggi ed è sentimento e leitmotiv di tutta la lettera: “Una squadra – e intendo tutto lo staff e le giocatrici – si bassa principalmente sul principio di riconoscimento da parte di ognuno del proprio ruolo e sul sostegno imprescindibile del ruolo degli altri. Assonanza, armonia, condivisione tra i singoli vanno a definire un organismo unitario che sa esprimere qualitativamente molto di più di ogni singolo”.
E prosegue: “Questo organismo unitario può esprimere anche qualcosa di meno della somma dei singoli, quando ognuno di noi non subordina il proprio protagonismo in favore della squadra, quando tra i singoli non si verifica un rapporto di complementarietà, quando si fatica ad accettare i patti organizzativi di orientamento e di indirizzo di tutta la squadra”. “Il calcio è un magnifico sport di relazioni e interrelazioni”, sottolinea ancora “un filo sottile che ci lega in un rapporto di interdipendenza l’una all’altra, dove l’Io in certi frangenti lascia che sia il Noi ad emergere e dove il Noi si sposta all’unisono per lasciare spazio alla giocata individuale, solo quando questa fa bene al Noi”.
Perché, e qui è costante il richiamo, “il calcio è una straordinaria metafora di vita, perché se visto a doppio senso di marcia sa creare ponti. (..) Ponte anche nel passaggio tra vecchie e nuove generazioni, sul quale lasciare preziose eredità, con la consapevolezza e l'umiltà di saper lasciare il proprio posto, che non ci appartiene mai completamente, ma che ci vede passeggeri protagonisti solo se ci consideriamo di passaggio e non su troni acquisiti per sempre”. Infine, quella che a molti è parsa la stoccata vera e propria: "Troppo ingenua e scontata la ricerca di un capro espiatorio: non scordiamoci che quando si punta il dito verso qualcuno, le altre tre dita della nostra mano guardano verso di noi. Il rischio altrimenti è di giocare la partita contro noi stessi e non con noi stessi e con delle avversarie. Pertanto non sento nessun risentimento e non ho nessun motivo che mi spinga a sentirmi o cercare un colpevole”. La conclusione è poi un augurio: “Auguro alla Nazionale e a tutto il calcio femminile di crescere e che tutto il Movimento torni a muoversi con vigore ed energia”.
L’eco del messaggio delle Azzurre
Il giorno successivo all’amara sconfitta di Wellington, le atlete azzurre avevano compattamente condiviso sui social un comunicato che esprimeva le loro considerazioni “con rabbia e dispiacere” su un’eliminazione fatta, certo, di responsabilità personali, ma anche – e soprattutto – strutturali, il cui passaggio chiave racconta proprio questa realtà: “Siamo convinte che avremmo potuto ottenere risultati diversi se solo fossimo state messe nelle condizioni di poterlo fare”.
“Noi ragazze ci abbiamo sempre messo la faccia senza mai tirarci indietro e prendendoci le nostre responsabilità, sempre. Questa volta però ci teniamo ad esprimere anche il nostro punto di vista. Il rammarico è ancora molto forte perché la voglia di riscatto era tanta”, e qui la stoccata parsa tutta diretta alla ct: “Ieri sono state fatte tante dichiarazioni, ma l’unica che condividiamo e sentiamo nostra riguarda “l’intesa che si è creata tra noi”. Non abbiamo mai avuto paura, ma solo sentito poca fiducia. Tutto questo non è bastato perché in campo evidentemente è mancato qualcos’altro”.
Per poi concludere così: “Noi lavoreremo ancora più duro per migliorarci a livello internazionale ma dato che dagli errori si può sempre imparare, ci auguriamo un futuro più presente, all’altezza della crescita del nostro calcio per riuscire ad esprimerci al 100 per cento e rappresentare al meglio il nostro paese”. Firmato: “Le Calciatrici della Nazionale”.
Era parso un monito, perché, di sicuro, in quelle parole di rabbia e dispiacere, c’era un richiamo ad una rottura importante in termini di fiducia. Forse, anche un grido d’attenzione a certe dinamiche interne quasi mai intellegibili da fuori.
È certo che il supporto spesso mancato all’Italia al femminile – non è un caso che, da più parti, dall’inizio della competizione, in molti abbiano sottolineato le
assenze pesanti delle figure federali di spicco ad accompagnare le Azzurre a quest’avvenuta mondiale – è sintomo evidente di un problema che esiste, al di là della rabbia e del dispiacere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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