Cesare Prandelli ha definitivamente messo da parte la propria carriera da allenatore. Lo stop, annunciato dopo la sua ultima e breve esperienza alla Fiorentina, resta e l'ex tecnico viola non è tornato indietro rispetto alla sua scelta. Intervistato dal Corriere della Sera, Prandelli ha parlato del suo stato d'animo ma soprattutto delle motivazioni che lo spinsero a quella clamorosa decisione.
Il racconto
È una stagione anomala per la Fiorentina quella 2020-2021. Nonostante una buona rosa i viola non riescono proprio ad ingranare con Iachini in panchina. Poi al suo posto arriva Prandelli, protagonista di uno splendido ciclo dieci anni prima quando aveva condotto i toscani fino agli ottavi di Champions, con una eliminazione con il Bayern Monaco piena di rimpianti a causa degli errori clamorosi dell'arbitro Ovrebo. Eppure in quell'anno nemmeno il tecnico bresciano riesce ad invertire la rotta. Una stato di impotenza che probabilmente incide nella testa dell'ex Ct della Nazionale.
"Quando si è manifestato il mio disagio? Era durante un Sampdoria-Fiorentina, a febbraio del 2021 – racconta il tecnico – stavamo dominando la partita poi, verso il settantesimo, ha segnato Quagliarella per loro. In quel momento ho provato una spaventosa sensazione di vuoto. Mi è mancato il respiro per dieci secondi. Credo di conoscere il sapore dell’adrenalina ma una esperienza così non l’avevo mai provata. Un vuoto nero, un gorgo di nulla. Forse il troppo amore per la Fiorentina, il desiderio di strafare, di portarla fuori dai guai. Ho parlato con le persone che sanno gestire queste situazioni di stress e mi hanno consigliato di staccare un po’. Mi hanno fatto questo esempio: è come un chirurgo che in sala operatoria interviene tutti i giorni ma arriva un familiare e lui si blocca. Il chirurgo non riuscirà più ad operare. Una sensazione così, di troppo affetto, di troppo amore, di troppa responsabilità mi ha tolto il respiro. Era il segnale".
Quando ha deciso di smettere
La partita contro il Milan del 21 marzo 2021 segna il punto di non ritorno. La sconfitta in rimonta con due gol in pochi minuti di Brahim Diaz e Ibrahimovic, evidentemente smuove qualcosa dentro Prandelli, portandolo a rassegnare le dimissioni da allenatore della Fiorentina. Con una toccante lettera indirizzata al club e ai tifosi, il tecnico spiega le ragioni personali che lo hanno portato a dire basta. Parole sofferte in cui racconta il suo disagio e ammette: "Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne".
"L’ho capito la domenica mattina, la sera avremmo incontrato il Milan. La settimana prima avevamo giocato e vinto a Benevento. Dopo la partita ho detto 'Sono stanco, sono vuoto', pensavo fosse una situazione passeggera. Ma in settimana non era cambiato nulla, tutte le volte che arrivavo agli allenamenti avevo questo senso di disagio. La società mi è stata vicino, i collaboratori anche. Ero io che stavo male, nel profondo. La domenica mattina abbiamo fatto come sempre un allenamento pre-gara. Al mattino, in palestra, c’è stata una situazione, nulla di che, una carenza di concentrazione. Di solito agivo in un certo modo e la superavo. Quel giorno ho fatto due passi e ho sentito ancora quel disagio, sempre più forte. Mi sono riseduto e ho detto basta, è la mia ultima partita in panchina".
Dopo l'addio al calcio
Sempre misurato, corretto con gli avversari, mai una parola fuori posto. Con la stessa compostezza dopo le vittorie così come dopo le sconfitte. Prandelli si è guadagnato la stima di tutto il mondo del calcio prima da calciatore e poi in panchina. Non sorprende affatto che siano stati tanti i calciatori e gli allenatori, a rimanergli accanto dopo la sua decisione: "Tantissimi giocatori che ho avuto alla Fiorentina per cinque anni dal 2005 al 2010. Colleghi tanti, ma devo dire quello che mi ha sorpreso per la straordinaria umanità, è stato Antonio Conte. Poi anche Gasperini, Stefano Pioli".
Oggi invece come sta Cesare Prandelli? Lo racconta lo stesso tecnico con la sincerità che lo ha sempre contraddistinto. In fondo l'importante è trovare il proprio equilibrio, anche rimanendo fuori dal calcio. "Sto bene. Avevo bisogno di staccare da quella vita frenetica, un po’ schizofrenica. È stato un momento stregato: gli stadi vuoti, una sensazione di solitudine che mi avvolgeva.
Era tutto vuoto, tutto rimbombava troppo. Dovevo mettere un muro tra me e quel silenzio. Ora sto molto bene, seguo sempre il calcio, con passione. Ma non ho pensato neanche per un secondo di tornare ad allenare. Basta, fine".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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