La lettera-fiume scritta di notte: Moggi non ci sta e sgancia la bomba

L'ex direttore sportivo bianconero passa al contrattacco contro Chinè, ricordando ancora una volta la questione passaporti che vide la condanna di Oriali

La lettera-fiume scritta di notte: Moggi non ci sta e sgancia la bomba

Luciano Moggi non ci sta e passa al contrattacco, sganciando una bomba. L'ex dirigente bianconero non ha gradito, per usare un eufemismo, il polverone sollevato per la sua presenza a bordo campo in occasione del match del campionato Primavera tra Napoli e Juventus dello scorso 14 gennaio. Una presenza contestata sia perché per ovvi motivi non risultava tra i tesserati o gli accreditati (unici ad avere il diritto di transitare aldilà della recinzione del terreno di gioco), sia per il fatto che la radiazione in seguito alle vicende di Calciopoli prevede"la preclusione a vita alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della Figc".

A finire nel mirino dell'ex direttore sportivo è in particolar modo la Procura Federale guidata da Giuseppe Chinè, che ha aperto un fascicolo per indagare sulla vicenda, rendendola di pubblico dominio prima ancora di comprendere, spiega in una lettera-fiume Moggi, cosa sia realmente accaduto. Tra le righe della missiva anche un affondo relativo alla questione passaporti che vide coinvolta l'Inter, con riferimento proprio allo stesso Chinè.

La lettera

In un messaggio indirizzato cordialmente al presidente della Figc Gabriele Gravina, l'ex dirigente bianconero ha spiegato l'episodio relativo alla polemica nata nel campo di Cercola e al colloquio intrattenuto con Gianluca Pessotto, prima di passare al contrattacco.

"Siccome conosco bene le regole che vietano alle persone radiate di stare ai bordi del campo in occasione di gare organizzate dalla Figc", spiega Moggi, "mi sono guardato bene dall'infrangere dette regole e, in compagnia di Luigi Palumbo e Giacomo Novello, non conoscendo il posto, abbiamo chiesto agli inservienti di accompagnarci in tribuna". Ecco il perché, secondo l'ex dirigente bianconero, di quel tragitto. Partito dalla curva della pista di atletica, lo spostamento con gli addetti della società partenopea "è continuato fino alla porta d'ingresso della tribuna, dove ho incontrato il sig. Pessotto che ho salutato calorosamente essendo stato un mio giocatore, dopo di che sono salito in tribuna con i miei due amici". Solo in un secondo momento, raggiunto da Pessotto, l'ex direttore sportivo si è trattenuto a chiacchierare con lui.

L'affondo contro Chinè

"Probabilmente per questo il dr. Chinè si è sentito autorizzato ad informare la stampa ancor prima di procedere all'interrogatorio di chi poteva informarlo realmente su quanto avvenuto", attacca Moggi. Nessuna regola, considera l'ex dirigente, gli vieta di salutare un conoscente o di intrattenersi a parlare con lui. "E dovrebbe anche fargli capire che la radiazione significa divieto di essere inserito nei ruoli federali, ed io sono ben felice di non farne parte", attacca ancora l'ex direttore sportivo bianconero, "visto lo stato attuale cui è ridotto il nostro calcio dopo l'allontanamento di quelle persone che avevano contribuito, con i propri giocatori, a far vincere il titolo mondiale del 2006".

E qui Moggi si toglie qualche sassolino dalla scarpa e sgancia la prima bomba: "E visto, oltretutto, che a fare il team Manager della Nazionale c'è Oriali, condannato a suo tempo dalla Giustizia sia sportiva che ordinaria per aver falsificato una patente per fare il passaporto falso a Recoba con documenti 'reperiti' alla motorizzazione di Latina, città nella quale si trovava a quel tempo proprio Chinè nelle vesti di magistrato".

Dopo questo affondo, Luciano Moggi torna sulla vicenda, considerando sorprendente il fatto che proprio Pessotto sia stato il primo ad essere interrogato. Sarebbe stata sufficiente la testimonianza degli inservienti della società napoletana per comprendere il perché di quel percorso che ha scatenato tante polemiche.

L'attacco a Calciopoli

Chiedendo a Gravina di intercedere con Chinè per fare in modo di consigliargli di agire con prudenza prima di attaccare gratuitamente qualcuno a mezzo stampa, l'ex dirigente lancia un'altra frecciata. E lo fa definendosi una persona "colpevole soltanto di aver partecipato 'ad un campionato regolare, con nessuna partita alterata', questo disse la sentenza del processo sportivo, mentre il prof. Serio, che lesse la sentenza, parlò di un dispositivo che si innescava sul sentimento popolare". Tante cose non tornano, secondo Moggi, che non usa giri di parole."Questo fu confermato dal maresciallo dei carabinieri della caserma di via Inselci, proprio quella del maggiore Auricchio, che, forse preso dal rimorso, concesse un’intervista al Corriere dello Sport chiedendo l’anonimato e parlò di 'un processo che non aveva niente che potesse tenerlo in piedi'".

La conclusione

"Lei, Presidente", dice Moggi riferendosi in conclusione a Gravina, "che ha ricevuto brevi manu la 'chiavetta' dove sono racchiuse le intercettazioni dei personaggi che in quel tempo avevano inquinato il calcio, che al tempo in cui stava alla guida della Under 21, mi informò di come qualcuno stesse tramando contro il sottoscritto, deve adesso dare la vera motivazione della radiazione".

"Si faccia coraggio Presidente", esorta l'ex direttore sportivo bianconero, "si ricordi che la paura è

una pessima consigliera che prima o poi fa pagare il conto. D’altra parte non oso pensare a cosa può riservarmi il futuro anche perchè dopo la radiazione, di peggio può esserci solo la fucilazione".

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