È un rapporto molto più stretto del previsto quello tra la penisola coreana e il mondo del pallone e, di riflesso, con i Mondiali. Quando si pensa all'Asia, il primo sport che viene in mente non è certamente il calcio. Eppure i coreani conoscono il “football” quasi in contemporanea con l'Europa: nella città portuale di Incheon, nel 1882 un gruppo di inglesi appena arrivati con un vascello giocano delle partite in attesa di ripartire. Da allora il calcio si diffonde in tutta la penisola, tanto che nel 1921 vengono organizzati i primi campionati nazionali.
Lo sport poi, come sempre, si intreccia in modo quasi simbiotico con la storia. La Corea cade nell'abisso della guerra tra il 1950 e il 1953 e si risveglia divisa, forse per sempre. Da un lato il sud, filo statunitense. Dall'altro invece il nord, governato dal Partito Comunista. A dividere le due Coree, il confine tracciato dall'armistizio lungo il trentottesimo parallelo. Anche il calcio, da questo momento in poi, si fraziona: a nord si forma la federazione calcistica nordcoreana, a sud invece quella sudcoreana. Due nazionali che si sviluppano seguendo le due storie diverse dei due nuovi Paesi. E che non mancano però, in alcune occasioni, di scrivere una comune pagina di sport.
Il gol del “dentista” all'Italia
In realtà in Corea del Nord il calcio fa fatica a ripartire dopo la guerra. Una vera federazione calcistica nasce solo nel 1964, mentre in Corea del Sud si forma una nazionale già nel 1954. Alla vigilia cioè del termine delle qualificazioni per i mondiali in Svizzera, previsti proprio in quell'anno. I sudcoreani volano in Giappone e battono i padroni di casa, assicurandosi così la prima storica partecipazione di una coreana a un mondiale. La squadra però in Svizzera subisce 16 gol in due partite contro Ungheria e Turchia e torna subito a casa. Ma quella partecipazione è comunque importante per il movimento coreano.
La Corea del Nord, una volta fondata la sua federazione, si iscrive alle qualificazioni per Inghilterra 1966. Il mondo, prima di quel mondiale, attraversa una fase di grande cambiamento. È in corso la decolonizzazione, ai nastri di partenza per la competizione ci sono molte più nazionali. Eppure la Fifa decide di assegnare un solo posto “all'altra parte del mondo”: asiatiche e africane cioè devono contendersi un unico posto per il mondiale. La confederazione africana non ci sta e annuncia il boicottaggio. A quel punto, rimangono in lizza solo le squadre asiatiche e le favorite sono Giappone e Corea del Sud. La federazione asiatica cerca una sede neutrale per le partite e decide di far disputare tutte le sfide in Cambogia. Giapponesi e sudcoreani si infuriano e si ritirano anche loro dalle qualificazioni. Sono quindi alla fine due le squadre che si contendono il pass per l'Inghilterra: Corea del Nord e Australia, quest'ultima inserita nel girone asiatico in quanto i tempi sono ancora lontani per la nascita di una confederazione oceanica.
Dei nordcoreani si conosce poco. Degli australiani invece si sa che nessuno dei giocatori è professionista. Così, nel doppio confronto giocato a Phnom Pehn, gli sconosciuti nordcoreani dominano le partite e vanno ai mondiali. Quando in Europa si viene a sapere la notizia, scatta la corsa a reperire quante più informazioni possibili sulla squadra. Nel 1966 non c'è ancora internet, l'unico modo è forse recarsi sul posto e osservare il campionato locale. Un'impresa ai limiti dell'utopia: la Corea del Nord, guidata da Kim Il Sung e dal Partito Comunista, è blindata. Proprio come oggi, del resto.
Si sa soltanto che alcuni giocatori sono dei militari e militano non a caso nell'8Febbraio, squadra delle forze armate nordcoreane oggi nota con un altro nome, quello di 25Aprile, dalla data di fondazione dell'esercito di Kim Il Sung. Altri giocano nel Morabong, così come nell'Amnokgang, sempre squadre del campionato locale di cui si conosce solo il nome.
Leggenda vuole che proprio Kim Il Sung riceva la squadra poco prima della partenza. Ai giocatori avrebbe detto di rappresentare al meglio non solo i coreani, ma anche tutti i Paesi del terzo mondo. Difficile verificare se questo discorso sia o meno realmente avvenuto. Certo è che i nordcoreani sono consapevoli di rappresentare un Paese sconosciuto e di essere gli unici a prendere il via ai mondiali in nome di Asia e Africa, elemento forse decisivo per spiegare la verve agonistica messa in campo in Inghilterra.
La prima partita della Corea del Nord a Inghilterra 1966 culmina con una sconfitta a Middlesbrough, per tre reti a zero, contro l'Unione Sovietica. Un punteggio rotondo, ma lontano dalle imbarcate subite dai cugini del sud nel 1954. Nella seconda partita la squadra coglie addirittura un punto contro il Cile. Al gol su rigore di Marcos, risponde a due minuti dalla fine Pak Seung-zin, numero otto della formazione. Nella terza partita tocca l'avversario più ostico: sempre a Middlesbrough, di fronte c'è l'Italia.
La nostra nazionale dal dopoguerra in poi ai Mondiali non ha più ottenuto risultati. Le squadre di club però, a partire da Inter e Milan, in quegli anni '60 tornano a vincere a livello internazionale. L'Italia in quella rassegna può dire la sua e sembra potersi giocare anche il titolo. Gli azzurri vincono contro il Cile, ma perdono ogni certezza nella sconfitta contro l'Unione Sovietica. Per garantirsi il passaggio, devono battere i nordcoreani. La sfida, in programma il 19 luglio, appare come una formalità. A pochi minuti dalla fine del primo tempo però, il numero 7 della formazione asiatica scende da destra, entra in area e calcia in porta. Il tiro va a segno e la Corea è in vantaggio. Quel numero 7 ha un nome che entra di diritto nella storia dei mondiali: Pak Doo Ik. Il suo gol si rivela decisivo.
L'Italia va fuori, la Corea del Nord incredibilmente vince e passa ai quarti di finale. Per molto tempo, i giornali italiani scriveranno della punizione inflitta agli azzurri da un “dentista”. In realtà però Pak Doo Ik un dentista non lo è mai stato. In quel momento è un caporale dell'esercito in forza all'8Febbraio e negli anni successivi sarà un insegnante di ginnastica.
Il rocambolesco quarto di finale contro il Portogallo nel 1966
Il passaggio del turno della Corea del Nord è storico anche per l'Asia: mai prima d'ora una formazione asiatica si era spinta oltre la fase a gironi. A Liverpool, nello stadio dell'Everton, il quarto di finale è contro il Portogallo. Un'altra sorpresa del mondiale, anche se la presenza di Eusebio e del blocco del Benfica rende la formazione lusitana “legittimata” alla lotta per la vittoria finale. La Corea però sembra poter dare vita a un nuovo miracolo sportivo. Dopo 25 minuti, la squadra è avanti di tre gol. Ma Eusebio, poco dopo, sale in cattedra e realizza da solo un poker che ribalta la sfida. Ne esce fuori un rocambolesco 5-3, con il quale il Portogallo vola in semifinale. I nordcoreani rientrano in patria accolti da eroi. Per la verità c'è chi dirà, negli anni successivi, che ai giocatori il governo non perdonerà una serata di festeggiamenti in Inghilterra ritenuta “degradante”. Ma ci sono diverse testimonianze che confermano come, ancora oggi, quella squadra venga annoverata come leggendaria nel Paese.
In un documentario del 2002 denominato “The Game of Their Lives”, vengono intervistati alcuni giocatori della nazionale del 1966. Tra questi c'è ovviamente Pak Doo Ik, promosso sergente dopo il suo gol contro l'Italia. Lui dovrebbe essere ancora tra i superstiti di quella squadra: nel 2008 appare in pubblico a Pyongyang nelle vesti di tedoforo quando la fiaccola olimpica diretta a Pechino passa dalla capitale nordcoreana. Nel 2011 invece è morto Pak Seung-zin, l'altro eroe del 1966 e autore della prima rete contro il Cile.
L'idea di ospitare un Mondiale in Corea
L'impresa del 1966 per lungo tempo rimane l'apice del calcio coreano. Per rivedere una squadra della penisola ai Mondiali, occorre aspettare Messico 1986. In quel caso è la Corea del Sud ad andare, anche se non riesce a ripetere l'impresa di 20 anni prima dei cugini nordcoreani. Il Paese però proprio in quegli anni si attrezza: Seul nel 1988 ospita le olimpiadi, si costruiscono quindi nuovi stadi e la federcalcio inaugura una nuova lega professionistica. Alla Fifa così scatta un'idea: far giocare, in vista del nuovo secolo, un mondiale in Asia. E magari nell'attrezzata Corea del Sud. A nord del trentottesimo parallelo non si è da meno in fatto di nuovi stadi. A Pyongyang vengono eretti due dei più grandi impianti calcistici del mondo: il Rungrado May Day Stadium, il più grande in assoluto con 150mila posti a sedere, e il Kim Il Sung Stadium, accreditato di 70mila posti.
Corea del Sud e Corea del Nord questa volta si parlano e pensano all'organizzazione congiunta del torneo più importante. L'idea sembra decollare a metà degli anni '90, quando alla vigilia dell'assegnazione del mondiale del 2002 le due parti valutano di comune accordo il progetto. Alla fine però, i problemi economici di Pyongyang e le difficoltà potenziali per turisti e addetti ai lavori nell'ottenere i visti, fanno accantonare il progetto. I mondiali del 2002 vanno alla Corea del Sud e al Giappone, nel primo torneo ospitato in Asia e da due Paesi. Ma il dialogo tra Seul e Pyongyang contribuisce in quegli anni a distendere la tensione politica e militare. Le due Coree in quel caso ragionano quasi da unica entità e questo solo proprio grazie alla possibilità di ospitare un mondiale.
“Again 1966”, la scritta apparsa a Daejeon nel 2002
Del mondiale nippocoreano si sa molto. Si sa ad esempio che la Corea del Sud riesce a spingersi fino alle semifinali, prima volta di una squadra asiatica. Lo fa però grazie a vittorie in partite il cui arbitraggio è a dir poco sospetto. Ancora una volta ne sa qualcosa l'Italia. A Daejeon il 18 giugno 2002 gli azzurri giocano l'ottavo di finale contro i padroni di casa. Il giorno prima i seggiolini della gradinata nord dello stadio vengono disposti per formare una scritta piuttosto eloquente: “Again 1966”. Come nel 1966, come in quella sfida del mondiale inglese dove altri coreani, quelli del nord, riescono ad eliminare l'Italia. La Fifa fa rimuovere la scritta, indicativa di un fatto non secondario a livello politico: per i sudcoreani non c'è alcuna differenza con i nordcoreani. L'impresa di 32 anni prima viene considerata compiuta semplicemente da coreani. È forse uno dei momenti, dal 1953 in poi, in cui la penisola appare più che mai unita.
Lo spettro del 1966 in effetti si riaffaccia, ma la storia è molto meno romantica. L'arbitro ecuadoregno Byron Moreno avvantaggia palesemente la Corea del Sud, l'Italia non riesce a gestire il suo vantaggio iniziale siglato con Vieri, rimane in dieci per una più che dubbia espulsione di Totti e alla fine, ai tempi supplementari, l'attaccante Ahn castiga gli azzurri. La festa subito dopo scatta sia a nord che a sud del trentottesimo parallelo.
Sudafrica 2010, l'unico Mondiale con entrambe le Coree
C'è poi un'altra data storica per il calcio coreano: quella del 10 settembre 2008. Corea del Nord e Corea del Sud, piazzate nello stesso girone eliminatorio per le qualificazioni a Sudafrica 2010, si sfidano in un inedito derby della penisola. Si gioca però a Shangai: Kim Jong Il, leader e figlio del fondatore del Paese, non vuole sentire, nello stadio dedicato al padre, l'inno sudcoreano. La partita finisce uno pari, al ritorno a Seul invece vincono a fatica i sudcoreani. La Corea del Nord però ottiene ottimi risultati nelle altre partite, tanto da battere in casa anche l'Arabia Saudita. Proprio pareggiando contro i sauditi nel giugno del 2009, la nazionale nordcoreana si aggiudica il secondo posto del girone e la seconda qualificazione a un Mondiale.
Per la prima volta, entrambe le Coree sono qualificate. La nazionale sudcoreana vince infatti quel girone e vola anch'essa in Sudafrica. Le squadre però vivono due mondiali molto diversi: i sudcoreani escono solo agli ottavi, eliminati dall'Uruguay, mentre i nordcoreani vanno via con zero punti nel girone, 12 gol subiti e uno fatto. Quell'unico gol però è storico: viene realizzato da Ji Yun-nam nella prima sfida contro il Brasile, persa solo per due reti a uno.
Di quella partita si ricordano soprattutto le lacrime di Jong Tae-se, uno “zainichi”, ossia un coreano nato e cresciuto in Giappone, durante l'inno nazionale. È quella, fino ad oggi, l'ultima immagine della Corea del Nord in un mondiale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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