Morte Maradona, al via il processo: ecco cosa rischiano gli imputati

Sono sette, tra medici e paramedici, le persone che ebbero in cura Maradona. Oggi sono accusati di omicidio con dolo eventuale rischiano da 8 a 25 anni di carcere

Morte Maradona, al via il processo: ecco cosa rischiano gli imputati
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A oltre quattro anni dalla morte di Diego Armando Maradona prende il via in Argentina il processo penale contro l'equipe medica che ebbe in cura il campione argentino. Sono sette gli indagati, tra medici e paramedici a cui era stato affidato l'ex Pibe de Oro dopo l'operazione al cervello, accusati di omicidio, perché vi sarebbe stata negligenza nelle cure per un ammalato molto complesso, cardio-patico, con alle spalle problemi di droga e alcolismo.

Si tratta del neurochirurgo Leopoldo Luque, il medico personale per anni, che ha eseguito l'intervento chirurgico per rimuovere il coagulo di sangue dal cervello. Della psichiatra Agustina Cosachov, che aveva prescritto i farmaci. Gli altri cinque imputati sono lo specialista in dipendenze Carlos Diaz, che aveva supervisionato il trattamento dell'ex calciatore per la dipendenza da alcol, Nancy Forlini, una dottoressa che lo aiutava a gestire l'assistenza domiciliare, il coordinatore infermieristico Mariano Perroni, l'infermiere Ricardo Almirón e il medico clinico Pedro Pablo Di Spagna.

Una terza infermiera, Gisela Dahiana Madrid, ha chiesto di essere processata separatamente da una giuria in una data successiva. Gli imputati sono accusati di "omicidio con dolo eventuale", che si materializza quando una persona commette una negligenza pur sapendo che essa potrebbe causare la morte di qualcuno. Rischiano pene da 8 a 25 anni di carcere. Durante il processo, l'accusa presenterà più di 120mila messaggi e registrazioni audio di conversazioni private tra le persone coinvolte nelle cure.

L'ex Pibe de Oro morì a 60 anni nel novembre del 2020 per una crisi cardio-respiratoria, durante la convalescenza in una residenza a Tigre, dopo un intervento neurochirurgico per un ematoma alla testa. Fu l’infermiera diurna a trovarlo privo di vita verso la fine della mattinata, mentre l’infermiere notturno aveva dichiarato di aver ricevuto "l’ordine di non svegliarlo", confermando però che Diego dormiva e respirava normalmente al momento del cambio turno, alle 06:30. Secondo l’autopsia, morì "per un edema polmonare acuto secondario e insufficienza cardiaca cronica".

Per il pm, il personale medico è stato"protagonista di un’ospedalizzazione domiciliare senza precedenti, totalmente carente e imprudente", e avrebbe commesso una "serie di improvvisazioni, errori di gestione e mancanze". Gli investigatori si sono chiesti perché Maradona sia stato dimesso dall'ospedale così presto dopo l'operazione. Nel rapporto si legge: "La reclusione domiciliare non ha rispettato le norme e i protocolli". Il team medico non sarebbe riuscito a monitorare correttamente il paziente e avrebbe trascurato i segnali di una possibile insufficienza cardiaca. Il rapporto delle indagini ha rilevato che l'ex fuoriclasse non si era sottoposto ad alcun esame cardiaco o di laboratorio nelle due settimane precedenti alla sua morte.

Insomma gli investigatori hanno concluso che la morte di Maradona avrebbe potuto essere evitata, se non fosse stato per la negligenza dei suoi dottori.

Secondo la difesa invece la fine dell'ex campione del Napoli "è stata improvvisa e senza agonia". Si prevede che il processo duri fino a luglio, con almeno tre udienze in programma ogni settimana. Adesso toccherà ai giudici stabilire la verità, almeno sotto il profilo processuale.

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