"Napoli, un giocattolo rotto. Capita a chi vince poco..."

Intervista a Ottavio Bianchi, il mister del primo titolo del Napoli. "Ripetersi subito è tipico solo dei grandi club abituati a conquistare titoli"

"Napoli, un giocattolo rotto. Capita a chi vince poco..."


Ottavio Bianchi, 80 anni, Sopra il vulcano (titolo della sua avvincente autobiografia, edita da Baldini+Castoldi, scritta insieme alla figlia Camilla, giornalista) c`è stato prima da calciatore dal `66 al `71 e poi da allenatore (dal 1985 al 1989 e dal `92 al `93). Il «vulcano» - evocato nella prefazione firmata da Gianni Mura - è il Vesuvio, ma anche il sacro fuoco per il calcio che ha animato la carriera di questo gentiluomo bresciano d`altri tempi, modello di etica e competenza.

Il «vulcano», simbolo di una Napoli che non lo ha mai dimenticato e che Ottavio continua ad amare, pur vivendo da 50 anni a Bergamo dove giocò nell`Atalanta dal `71 al `73 per poi allenarla dal 1981 al 1983; lui, uomo del Nord, pragmatico e schivo, eppure figlio acquisito di una città dalla passionalità lavica tanto lontana dal carattere ghiacciato del «Signor Bianchi» che nella reggia decadente dello stadio San Paolo a Fuorigrotta ritrovò la chiave per riaprire il salone sfarzoso del primo scudetto (10 maggio 1987) e della successiva Coppa Uefa (17 maggio 1989).

Nessuno, meglio di lui per analizzare l`«eruzione» che sta facendo tremare il Calcio Napoli a distanza di pochi mesi dal trionfo dell`era Spalletti.

Ora «sopra il vulcano» che ha già bruciato Garcia e scottato il suo iniziale sponsor (De Laurentiis) è salito Mazzarri. Possibile che il «giocattolo perfetto» si sia frantumato così in fretta?
«Capita alle squadre che non sono abituate a vincere con continuità, caratteristica invece dei grandissimi club».

Vuol dire che il Napoli non è un «grandissimo club»?
«Voglio dire che non è facile ripetere l`exploit della scorsa stagione, quando lo scudetto fu il frutto di un`alchimia perfetta. E accaduto già in con Lazio di Maestrelli, il Cagliari di Scopigno, il Verona di Bagnoli, il Torino di Radice. Succede pure all`estero, vedi la parabola del Leincester City».

Cos`è che si «rompe» e impedisce di riconfermarsi ai massimi livelli?
«Non c`è una causa precisa, le variabili sono tante: cambio di allenatore, crisi di "appagamento", operazioni di mercato non azzeccate...».

...O anche un certo tasso di presunzione con il presidente De Laurentiis che ha rivoluzionato tutto. Così lo scudetto-bis diventa una chimera.
«Non parlerei di presunzione. Però perdere in un sol colpo Spalletti, Giuntoli e altre pedine importanti ha complicato la situazione».

Lo spogliatoio del Napoli non è sereno. C`è il sospetto che abbiano remato contro Garcia. Un contesto che presenta analogie con l`«ammutinamento» di cui furono artefici nella stagione `87-`88 alcuni suoi giocatori (Giordano, Bagni, Ferrario e Garella). Ferlaino e i tifosi però si schierarono dalla parte giusta e i 4 «ribelli» l`anno dopo cambiarono aria...
«Io venni riconfermato e il Napoli l`anno dopo vinse la Coppa Uefa».

I rapporti tra mister Bianchi e Diego Maradona?
«Ci siamo incontrati e scontrati varie volte. Non mi ha mai mancato di rispetto. Ero l`unico che cercava di metterlo in guardia e gli diceva qualche "no"».

Una volta lui rispose: "Mister, io voglio vivere spingendo sempre sull`acceleratore"».
«Era il calciatore più famoso del mondo. Sostenere quella pressione era impossibile».

Non ha rimpianti?
«Ho cercato di dargli buoni consigli. Ma mi sono ritrovato solo...».

Inascoltato?
«Nessuno lo ha protetto. In lui combattevano due opposti: Diego, incarnazione del bene; Maradona, in balìa del male. Condivido la frase del suo preparatore atletico, Fernando Signorini: "Con Diego avrei fatto il giro del mondo, ma con Maradona non avrei fatto neppure il giro del palazzo"».

È vero che la notte dello scudetto lei stava per andare a letto e Ferlaino la costrinse a fare l`ennesimo giro in macchina in una Napoli impazzita di gioia?
«Eravamo in auto io, Ferlaino e sua moglie. Mi ricordo che pensai: "Ma qui è meglio del Carnevale di Rio..."».

Di quel trionfo non ha in casa neppure un cimelio. Perché?
«In carriera ho indossato anche le maglie di Brescia, Atalanta, Milan, Cagliari, Spal e allenato Roma, Inter, Fiorentina e varie altre squadre. Ma non ho conservato nulla. Eccezion fatta per l`immagine di un mio gol in tuffo di testa contro il Verona: scatto che ha vinto un premio di fotografia».

Arrigo Sacchi sostiene che il «singolo deve sempre mettersi al servizio del gruppo». Vale anche quando si ha in squadra uno come Maradona?
«Io ho giocato con grandi campioni e da allenatore ne ho gestiti altrettanti. I fuoriclasse non rappresentano mai un problema».

Giovani calciatori milionari che scommettono per «noia». È amareggiato?
«Tanto. Fatico a capire. Questo calcio è lo specchio di un`Italia che sento lontana. Vengo da un mondo il cui giocare a pallone era il massimo della gioia. Non l`ho mai considerato neppure un lavoro».

Per due edizioni consecutive l`Italia non è andata ai Mondiali.
«È gravissimo ciò che è accaduto. Una vergogna nazionale passata sotto silenzio. Si finge di non capire che se non si riprenderà a puntare sui settori giovanili il nostro Paese rimarrà marginale».

Sabato il campionato riprenderà con Atalanta-Napoli: partita decisiva per il nuovo corso del Napoli di Mazzarri. Si gioca nella sua Bergamo, andrà allo stadio?
«No, il calcio ormai mi annoia.

Comunque la partita non sarà decisiva né per il Napoli né per l`Atalanta. Il campionato è ancora lungo».

Ha seguito in tv le imprese entusiasmanti di Sinner?
«Sì. E perfino io, che non sono mai stato tifoso, mi sono sorpreso a tifare per Jannik. In silenzio».

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