I punti chiave
La discutibile scelta di collocare la Supercoppa a cavallo della Befana ha privato l’ultima giornata del girone d’andata di tre partite, inclusa Atalanta-Juventus. Questo ci pone di fronte ad una scelta complicata: limitarsi alle partite di campionato o includere le semifinali di Supercoppa, anche se, tecnicamente, sono state giocate prima del fine settimana. Alla fine abbiamo optato la seconda opzione, proprio perché le gare disputate nel nuovo Eldorado del calcio mondiale hanno fornito alcuni spunti interessanti.
Cosa vi siete persi se, beati voi, vi godevate il mare d’inverno o la neve in montagna? Parecchie cose; dalla conferma che l’Inter non scherza al peccato d’orgoglio del Gasp, dal collasso della Vecchia Signora al colpo di fortuna del Diavolo ma anche l’impressionante trionfo del Napoli al Franchi e il verdetto categorico del derby della Capitale. Vi raccontiamo tutto, come al solito, nel nostro pagellone del lunedì, cogliendo l’occasione per augurarvi un sereno e prospero 2025.
Questa Inter fa davvero paura (8)
Giocarsi il primo trofeo della stagione in Arabia, a gennaio, contro tre squadre di livello potrebbe rovinare le feste a chiunque, tranne che a Simone Inzaghi. La caccia alla sua sesta Supercoppa personale inizia nella maniera migliore, con la settima vittoria consecutiva contro la Dea ed il recupero di due giocatori sempre più importanti come Dumfries e Taremi. Il risultato, però, è davvero bugiardo: contro un’Atalanta timida e sottotono, l’Inter avrebbe potuto facilmente dilagare, trascinata dall’olandese con un Bisseck perfetto nel confronto con Zaniolo. Il quindicesimo clean sheet stagionale di Sommer è solo la ciliegina sulla torta di un inizio d’anno che potrebbe essere memorabile con la vittoria da favorita nel secondo derby stagionale.
Ancora più importante che la coppia Barella-Calhanoglu riesca a farsi largo in una mediana parecchio affollata, mentre De Vrij e Carlos Augusto calano la saracinesca in difesa. Se Dimarco sale di tono nella ripresa, le uniche preoccupazioni arrivano dall’attacco, ancora a secco. Thuram esce dopo un buon primo tempo per un affaticamento all’adduttore ma viene rimpiazzato in maniera efficace da Taremi, cui, però, non riesce l’impresa di far segnare un Lautaro che perde malamente il duello rusticano con Carnesecchi. Il derby di finale farà necessariamente storia a sé ma il messaggio che i nerazzurri lanciano al campionato è inequivocabile: con una rosa a livello di quella del triplete, dovrete fare una stagione perfetta per evitare che lo scudetto resti sulle nostre maglie.
Questo Napoli è davvero spietato (7,5)
Mentre il resto delle grandi era in Arabia a giocarsi la Supercoppa, la capolista aveva il compito non semplice di tornare dal Franchi non solo con tre punti in cascina ma anche di gettarsi alle spalle i mugugni delle ultime settimane. Il nuovo anno ha portato in regalo a Conte una vittoria forse ancora più larga di quanto si capisca dal punteggio. Contro una delle sorprese di questa stagione, il suo Napoli ha dominato in lungo e in largo, annichilendo l’undici di Palladino. Nonostante mancassero tre titolari, quando il gran gol di Neres sblocca la partita, ben pochi hanno messo in dubbio che i partenopei hanno davvero svoltato l’angolo. Se il brasiliano è tanto sveglio quanto feroce, tutta la rosa sta rispondendo alla grande ai dettami tattici del tecnico pugliese.
I campani hanno stravinto ogni duello significativo, da quello tra Rrahmani e Kean alla battaglia sulle fasce, dove Olivera e Anguissa si danno il cambio nel far impazzire i malcapitati terzini viola ma è difficile trovare situazioni nelle quali gli azzurri abbiano sofferto. Lobotka e McTominay ci mettono un po’ prima di prendere le misure ma, quando il Napoli mette la quarta, chiudono i conti in maniera perentoria. Lukaku soffre la marcatura a uomo di Comuzzo ma trova comunque il modo di brillare, come Spinazzola che, nonostante si trovi molto più avanti rispetto al solito, fa a brandelli il malcapitato Dodò. La cosa che impressiona di più è il cinismo, la determinazione e la maturità di questo gruppo. Non sarà semplice per nessuno strappargli la vetta della classifica.
Roma fuori dal tunnel? Forse (7)
I tifosi giallorossi sono stati ben lieti di mettersi alle spalle un 2024 pieno di delusioni, sceneggiate e rivoluzioni continue. La speranza è che l’arrivo della bandiera Ranieri servisse a voltare pagina, uscendo dalle micidiali montagne russe che hanno fatto impazzire i tifosi della Magica. Almeno a giudicare dal primo tempo nel derby della Capitale, la Roma sembra essere uscita dal tunnel e lanciata in un’improbabile rimonta verso i piani alti della classifica. L’approccio dei capitolini è perfetto, tanto da mettere al sicuro la gara in neanche 10 minuti grazie alla gran rete del capitano Pellegrini, titolare a sorpresa e di un Saelemaekers che ha preso anche il vizio di segnare spesso e volentieri. Aggiungi il ritorno alla forma dell’espertissimo Hummels ed il gioco è fatto.
Sulla mediana la fisicità di Koné è a tratti incontenibile, aiutato da un lucido Paredes e da un Angeliño che alterna difesa ed attacco con nonchalance. L’attacco, a lungo punto dolente dei giallorossi, vive delle invenzioni di un Dybala più misurato, che spreca meno energie ma sa essere comunque determinante ed i passi avanti di un Dovbyk cui Ranieri ha chiesto di lavorare lontano dall’area, spalle alla porta, fornendo sponde ai compagni. Se l’ucraino non ha l’ignoranza di un Lukaku, è prezioso come le seconde linee in una ripresa passata in trincea. Alla fine, la Roma ha imparato a soffrire, resistendo bene al forcing della Lazio. L’Europa è forse fuori dalla portata ma il girone di ritorno si annuncia molto meno problematico. Ai romanisti va benissimo anche così.
Milan, Conceição è solo fortunato? (6)
Dopo un passaggio di mano tanto rapido quanto confusionario, giocare la prima partita in Arabia, con la febbre alta e contro la Juventus sembrava un presagio foschissimo per il nuovo tecnico del Milan. La prima ora dei rossoneri avrà causato travasi di bile indicibili alla furibonda tifoseria, che aveva accolto Conceição con un misto di rabbia e rassegnazione. Alzi la mano chi, dopo il gol a porta vuota sprecato da un’irriconoscibile Theo Hernandez, si sarebbe mai immaginato quel che è successo in soli dieci minuti. Il nuovo tecnico, invece, indovina la mossa giusta, rimpiazzando un arrugginito Bennacer con il sempre generoso Musah, che segna l’imprevedibile svolta. Il suo ingresso rianima sia Pulisic che Reijnders, fino a quel momento al limite della decenza.
Se l’entrata di Locatelli è inqualificabile, il movimento di Capitan America è di una perfidia assoluta, come il rigore col quale inganna Di Gregorio. Il gol della vittoria, invece, è un regalo di Natale in ritardo della Dea Bendata che premia un Milan che sembrava incapace anche di lottare per tornare in partita, nonostante la strigliata all’intervallo. Fortuna a parte, si salva il solido Fofana, qualche spunto di Jimenez, il lavoro sporco di Abraham e Morata oltre alla prova senza sbavature di Thiaw. Contro la corazzata Inter servirà un miracolo per tornare a casa con la coppa ma, in fondo, non è la cosa più importante. La domanda delle domande è un’altra: Conceição è solo fortunato o sta davvero raddrizzando il caotico spogliatoio del Diavolo? Stasera avremo la prima risposta.
Atalanta, l’orgoglio del Gasp (5)
Uno dei rischi di essere circondati da lodi sperticate è quello di iniziare a credere di essere in grado di compiere qualsiasi impresa. Quando a Riyadh è arrivata la formazione ufficiale dell’Atalanta molti si sono domandati se stavano su Scherzi a Parte. Possibile che Gasperini faccia turnover, presentando una squadra del tutto sperimentale, proprio mentre si gioca un trofeo che arricchirebbe non poco la scarna bacheca della Dea? A quanto pare sì, ma stavolta il tecnico orobico sembra aver fatto il passo più lungo della gamba. L’Inter di Inzaghi, vera e propria kriptonite del Gasp, passeggia e frustra le velleità bergamasche senza nemmeno faticare troppo. Negli ultimi tre incroci, l’Atalanta non ha mai segnato, subendo la bellezza di 10 reti, un disastro senza se e senza ma.
Il gioco spettacolare della Dea è sostituito da un catenaccio che impedisce all’Inter di passare per un tempo, grazie ai miracoli di Carnesecchi, che nega il gol ad un Lautaro inviperito. Se Kossounou e Zappacosta fanno il proprio lavoro, il Gasp è tradito da uno dei suoi pupilli, Giorgio Scalvini. A 214 giorni dalla rottura del crociato deve affrontare sia Barella che Dumfries: dopo essersi divorato un gol, si perde l’olandese, regalandogli una rete. Il bello è che l’Atalanta non fa nemmeno troppo male, a parte un deludente Zaniolo ma non riesce a trovare la zampata di Lookman che avrebbe riaperto la partita. Intendiamoci, perdere con questa Inter ci sta assolutamente ma consiglieremmo al tecnico orobico un atteggiamento un filino più prudente. Non è sempre domenica.
Fiorentina, chi è causa del suo mal… (5)
Il calcio è un gioco a volte davvero crudele, dove conta solo l’ultimo risultato e quanto hai fatto in passato conta meno di zero. Dopo un’inizio di stagione al limite della perfezione, la Viola è entrata in un giro di schiaffi dal quale sembra incapace di uscire, tanto da far ripartire la macchina dei veleni che, da sempre, rende la vita dei tecnici viola un inferno in terra. Nonostante il momento difficile, Palladino decide di sperimentare proprio contro il Napoli di Conte, facendo alcune scelte azzardate che, con una buona dose di sfortuna, costano caro all’ex tecnico del Monza. Il giovane Moreno rovina un’ottima prestazione con uno svarione inqualificabile mentre gli errori sotto porta di Beltran vengono seguiti dalla papera di quel Comusso che aveva annichilito uno come Lukaku.
Contro il Napoli, però, è tutta la squadra a giocare come se non avesse ancora digerito il cenone di Capodanno: De Gea non è la solita saracinesca, Dodò viene distrutto sulla fascia e lo stesso Ranieri ha parecchio da farsi perdonare sul gol di Neres. Le cose non migliorano al centrocampo, dove Adli parte bene per poi venir annullato dal pressing del Napoli, Mandragora e Richardson sono incapaci di dare qualità mentre né Parisi né Colpani sono in grado di equilibrare un reparto allo sbando. Neanche le invenzioni di Sottil, il più pericoloso dei suoi, riescono ad innescare un Kean preso a sportellate da Rrahmani. Una sconfitta davvero pesante che arriva nel momento peggiore possibile, mettendo Palladino sul banco degli imputati. Proprio vero che quando piove, diluvia…
Lazio, ora bisogna crescere (5)
Chiudere un girone d’andata impressionante proprio col derby della Capitale aveva il sapore di una beffa e, alla fine, i tifosi delle Aquile dovranno subire per chissà quanto gli sfottò dei romanisti. La Lazio scesa in campo all’Olimpico inizia malissimo come gli capita spesso, stringe i denti ma, al contrario di quanto fatto altre volte quest’anno, non trova mai il modo di riaprire la partita. Se la compattezza del gruppo è sempre stata la forza dei biancocelesti, stavolta è proprio il gruppo a tradire le aspettative dei tifosi, mettendo una prestazione davvero deludente. A parte Tchaouna e pochissimi altri, le insufficienze si sprecano, dipingendo il quadro deprimente di una prestazione indegna dell’importanza della partita nella capitale. Una sconfitta netta, senza se e senza ma.
Quel Provedel decisivo in tante occasioni s’impappina su Saelemaekers, Gila ci mette quasi un tempo a trovare il ritmo, Romagnoli si perde Dovbyk sul 2-0 mentre Tavares paga le puntate offensive lasciando troppo spazio a Dybala e all’ex milanista, che ne approfitta al meglio. La gara, però, si è persa sulla mediana, dove nessuno, da Dele-Bashiru a Rovella, riesce a costruire azioni in grado di mettere in crisi la difesa romanista. In avanti cambia poco: Isaksen si vede solo a sprazzi, Castellanos lotta e sgomita ma è servito poco e male da uno Zaccagni nervoso che inizia ad attaccare solo dopo un’ora. Dopo una batosta del genere, servirà serrare i ranghi e fare passi avanti dal punto di vista mentale. Per volare alto, anche se sei un’aquila, bisogna crescere – in fretta.
Juventus, un crollo inspiegabile (4)
Visto il momento non ideale in campionato, la Juve era approdata in Arabia con il compito non banale di tornare a vincere e riaprire la bacheca dei trofei. Quanto la banda di Thiago Motta ci tenesse lo si è capito fin dal calcio d’inizio: squadra attenta, concentrata, fisica quanto basta, con un pressing asfissiante che ha impedito al Milan di tirare in porta. Nonostante le scelte discutibili del tecnico, a partire da McKennie terzino, i bianconeri hanno dominato in lungo e in largo, passando grazie all’errore di Theo Hernandez capitalizzato al meglio da Yildiz. Eppure a ritornare in anticipo alla base sono proprio loro, non quel Milan che per un’ora e spiccioli era sembrato alla mercé della Juve. Cosa è successo? Un crollo mentale verticale che risulta quasi impossibile da spiegare.
D’accordo, la sconfitta della Juve è frutto della sfortuna ma Motta non ha mancato di tirarsi la zappa sui piedi. Se Yildiz ha risposto alla grande dopo il problema in riscaldamento di Conceição e la coppia Thuram-Mbangula spadroneggia per un tempo, il resto è stato un disastro. L’erroraccio di Locatelli è fatale ai bianconeri, visto che rianima uno spento Milan mentre la doppia papera Gatti-Di Gregorio è per ora gollonzo dell’anno.
Motta, però, sbaglia in pieno i cambi: anche se Vlahovic è sprecone e poco preciso, chiedere a Nico Gonzales di fare il suo gioco è demenziale, come non capire che questo Koopmeiners in confusione va messo in panchina. Invece di portare tranquillità, parte del tifo bianconero sta già chiedendo la testa del tecnico. Tafazzi is nothing.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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