Una processione rumorosa sfila verso lo stadio. Decine di migliaia di persone divise esattamente a metà. Perché puoi anche abitare nella stessa città, ma il derby segna una linea di confine invalicabile. Questione di fede, identità, speranza. Le due correnti che migrano verso San Siro indossano maglie a righe rossonere e nerazzurre. Si appollaiano liturgicamente sui gradoni gelati, visto che novembre a Milano soffia una brezza che costringe a stringersi nel cappotto. Questo, in fondo, non è mica cambiato rispetto a settant'anni fa e poco più. Si gioca infatti per la stagione 1949/50.
E a guardare la classifica finale, qualcosa sì, si è ribaltato rispetto ai giorni nostri. Prima la Juve, poi il Diavolo, quindi la Beneamata. Ma non è questa la differenza. Scorrendo di lato al punteggio affiorano caterve di gol. Cento la Vecchia Signora. Addirittura 118 il Milan e 99 l'Inter. Una rappresentazione plastica di un campionato glassato da difese di burro fuso, per la gioia debordante di chi per mestiere deve spingerla dentro. Quel giorno non sono contemplate eccezioni.
L'Inter, del resto, può contare su un attacco terrificante: Wilkes, Lorenzi, Amadei, Nyers. Il Milan fa spallucce, rispondendo con gente del calibro di Nordahl, Liedholm, Candiani e Gren. Scorrendo la lista delle due formazioni si scorge un messaggio inequivocabile: fortissime dalla mediana in su, vacillanti dietro. Un mix destinato a gonfiare le coronarie sugli spalti praticamente ad ogni ribaltamento di fronte. I tatticismi, poi, sono derubricati a risibili orpelli. L'atteggiamento è spannometrico, le squadre quasi subito lunghe, l'atletismo odierno sicuramente impensabile.
Si parte, dunque. A conferma della diffusa svagatezza dei tempi, dopo soltanto 6 minuti il Diavolo è avanti 2 a 0. A stapparla subito c'ha pensato Candiani, ala sfuggente e capace di armare un sinistro velenoso. Franzosi raccoglie dal fondo, maledicendo quella retroguardia sbilenca, quel modo svampito di contendere palla. L'Inter tenta comunque di rimettersi in carreggiata e accorcia con un bolide di Nyers, ma prima dell'intervallo Nordahl fissa sul 3 a 1. I milanisti già si sfregano le dita, mentre i cugini mugugnano.
Si ricomincia, ma la trama pare scritta. Liedholm, infatti, porta subito i rossoneri sul 4 a 1. Adesso per riprenderla servirebbe un'impresa monumentale. Ma il germe di pazzia che connota la Beneamata non è un aneddoto spassoso. Il primo a scuotersi è l'olandese Wilkes, geniale tessitore di uncinanti arazzi offensivi. Sfugge due volte al suo marcatore e due volte serve Amadei che segna: 3 a 4. Quando il Milan intuisce che sta dilapidando un tesoretto la campana è già suonata. Nyers pareggia su rigore. Lorenzi sigla l'impensabile sorpasso.
Contraccolpo psicologico che stenderebbe un Capodoglio, ma i rossoneri reagiscono estraendo l'orgoglio. Rimessa lunga di Liedholm, spizzata di testa di Gren, Annovazzi si inserisce precedendo il portiere e la rimette in pari: 5 a 5. Chi pensava ad un derby emozionalmente gestibile non c'ha preso per nulla. San Siro è una tela intrisa di fervore pittorico. Il pareggio dura meno di nulla. Siluro dai trenta metri di Campatelli, palla che si stampa sulla traversa e torna in area, dove Amadei la spedisce di nuovo dentro: 6 a 5 Inter. Da qui non ci si sposta più, anche se poi il Milan ha ancora una chance per pareggiare.
Ora la gente torna verso le abitazioni che
punteggiano i Navigli, così come la prima periferia. Inconsapevole del fatto che quello resterà il derby milanese condito da più gol. Ma con la sensazione, miscelata a gioia e pena, che un giorno così difficilmente ritorna.
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