Hanno segnato Canniggia e Mihajlovic. Il risultato è ormai in cassaforte e la gara scivola senza pretese verso i titoli di coda. Fuori è il 28 marzo 1993. In panchina si agita un signore corpulento, una calvizie incipiente, i modi perennemente bruschi, da genitore che ti pungola a suon di strilli. Roma avanti due a zero in trasferta, contro il Brescia di Mircea Lucescu. Ultimi minuti di gioco. Si volta di scatto- Carletto, che di cognome fa Mazzone - per indicare un cambio. "Ehi te, scaldati". Poi torna a rimuginare su quel che si sta srotolando in campo. Così inizialmente il ragazzetto - si farebbe meglio a dire er regazzetto - mica capisce. Figurati se ha detto a lui. Ha soltanto sedici anni (va per diciassette). Decisamente troppo pochi per pensare di gettarsi nella contesa accanto a gente come il principe Giannini, Aldair o, dall'altra parte, Raducioiu. Stava sicuramente dicendo a Roberto Muzzi, il prolifico centravanti che siede al suo fianco.
Invece no. Carletto si rigira e schiuma: "Che fai? Vai!". Sì, stava parlando con lui, che poi sarebbe Francesco Totti. La maglia è ancora la numero quattordici. Una sgambata veloce. Una manciata di esercizi più intensi. Poi lo richiamano: "Vieni, è il momento". Si toglie la parte superiore della tuta d'acetato. Gli occhi, due fanali di un azzurrino granulare, luccicano come non era mai accaduto prima. Scocca il minuto ottantasette. Lavagnetta con le indicazioni numeriche ancora da voltare a mano. Esce il bomber Rizzitelli. Dentro Francè, fisico ancora gracile, una nuvola di capelli biondo cenere aggrovigliati sopra la fronte, il sorriso di chi inizia a chiamare per nome una vita che non c'era mai stata.
Una manciata di minuti, considerando il recupero. Fa in tempo a raccogliere un pallone e a guadagnare la bandierina del corner, difendendolo con movenze già raffinate. L'incipit di una storia d'amore lunga ventiquattro anni. Non sa ancora, il Totti sedicenne, che quella sarà casa sua per tutto quel tempo. Che resisterà alle sirene dei top club europei, dove - più avanti negli anni - potrebbe giocare titolare a palpebre chiuse. Che indosserà la dieci e sarà capitano. Che farà in tempo a diventare Pupone prediletto e ottavo re di Roma. Che vincerà uno scudetto, e sarà come averne sollevati dieci con una competitor del nord.
Ignora ancora molte cose, Francesco. Quel che di certo sa, è come trattare il pallone. Carezze, tocchi vellutati, gol e finezze in serie da distribuire in tutta quella vita calcistica davanti. Quell'esordio stapperà una relazione iniziata dalle giovanili, lunga 619 partite e condita da 250 gol. Uno di quei rarissimi amori ricambiati, oggetti in via di estinzione, specie nelle venali stanze del pallone. Sboccia sul finire di marzo, un giorno come oggi, di trent'anni fa. Parrà a molti - e anche a lui - che il tempo sia corso via troppo in fretta.
Resta, per almeno un paio di generazioni, il confortante privilegio d'averlo osservato dal vivo: ultima bandiera, eroe del suo popolo, capitano coraggioso. Mica facile incarnarle tutte. Nella sua appassionata agitazione Carletto c'aveva visto giusto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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