"Calzoni corti? A casa" Finalmente un preside che rispetta la scuola

Ingresso negato agli alunni in bermuda E loro chiamano la polizia. Un paradosso. L'aula non è una spiaggia e il rispetto delle regole è la base della formazione

"Calzoni corti? A casa" 
Finalmente un preside  
che rispetta la scuola

«Sua figlia oggi si è presentata a scuola senza il grembiule nero: ci sembra questo un segno intollerabile di disordine e indisciplina», «I genitori che permettono alle loro figlie di indossare i pantaloni sotto il grembiule di scuola, sono pregati di inviare l'autorizzazione scritta», «Si pregano i genitori di non mandare più a scuola i ragazzi in blue-jeans». Questo rimprovero (le successive due note sono coeve) mosse da un direttore didattico al papà di un alunno, sembra appartenere ad un mondo lontano di almeno un secolo, e invece risale al 1978. Da allora la scuola è cambiata in tutto, anche nell'abbigliamento (di studenti e professori).

Le ragazze entrano in classe con minigonne, jeans a vita bassa e ombelichi al vento; i ragazzi si presentano con jeans sbrindellati, creste alla moicana (o alla Hamsik), piercing al naso e alla gola. Anche i prof non scherzano, tra camicie hawaiane, pantaloni alla Tex Willer, minigonne e stivali bianchi degni di una lolita.
Benché don Mazzi (che si definisce «prete Pierino») ritenga che «non è possibile ridurre i gravi problemi della scuola a una camicia a quadretti o una felpa» e che l'abito non fa il monaco (infatti lui veste in borghese); benché per un preside di Milano l'uniformità delle divise scolastiche (tipo grembiule) «fa pensare a una svolta autorità (…) a certe rigidità da Ventennio», noi siamo tra coloro che applaudono alla decisione del preside e del professore dell'istituto nautico di Trieste di non far entrare a scuola ragazzi in calzoni corti: il fatto che Trieste sia una città di mare non autorizza a (s)vestirsi con indumenti da spiaggia.

Quando si capirà che la scuola è una cosa seria, un luogo che merita rispetto? Una classe non è una discoteca, né uno stabilimento balneare. Un professore sta lì non solo per insegnare italiano matematica o scienze, ma per educare, e l'educazione passa anche per l'abbigliamento (segno di rispetto per sé e per gli altri).
Viviamo in un Paese dove ogni tentativo di dare una regola è considerato un attentato alla libertà, un gesto autoritario, e infatti i ragazzi del liceo di Trieste si sono rivolti alla Polizia (perché non alla guardia costiera? sarebbe stato più in linea col luogo e coi fatti.)
Il problema non è solo estetico ma etico. Vestendoci in un determinato modo, noi lanciamo un messaggio: siamo fatti così; la pensiamo in questo modo; il nostro stile, la nostra filosofia di vita è questa.

D'accordo, ognuno è libero di pensare e di apparire come vuole, ma a condizione che il nostro look non infranga regole, sistemi, leggi, e non si ponga come sfida o provocazione. Come è giusto che a un ricevimento di nozze non si arrivi in bermuda, o in chiesa in canotta e infradito, è altrettanto giusto entrare in una scuola vestiti con decoro. Ma queste verità così semplici (e ovvie) fanno storcere il naso a quanti (e ne sono tantissimi, ahinoi) sostengono che le restrizioni adottate da certi capi d'istituto rispondano ad una «filosofia bigotta». Qualche esempio? Marina Ripa di Meana ha esclamato: «Con tutti i problemi che hanno i giovani, dalla droga alla violenza ai disagi familiari» eccetera «c'è gente che pensa ancora a come si entra a scuola». Platinette (mi viene da ridere, o da piangere, quando penso a questo personaggio): «Se insegnassi farei entrare in classe anche uno vestito come me, potrebbe essere divertente». Un filosofo del nulla ha sentenziato: «Non esistono più regole valide universalmente» tutto è relativo, tutto scorre, l'acqua che tocchi dei fiumi è l'ultima che andò e la prima che venne. Così il tempo presente (Leonardo).

Ci capite qualcosa? Io niente.
Gli studenti dovrebbero comprendere che certe circolari -per quanto possa sembrare il contrario- vanno proprio in loro favore, essendo il rispetto delle regole, base della formazione dell'individuo.


Clamorosa la risposta di una liceale napoletana, alcuni anni fa: «La scuola dovrebbe insegnare il rispetto per le minoranze, per quelle che come me entrano in classe con la minigonna».
Queste sarebbero le minoranze.
Fossi preside di una scuola, davanti a tanta volgarità e ignoranza non saprei se chiamare la Buon Costume o invocare il fantasma di Alberto Manzi.

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