Il cameriere con la terza media ha colonizzato Londra

Ha aperto 8 ristoranti, 6 solo nella capitale inglese. E ora si è inventato un'accademia. Dove insegna come servire a tavola

Il cameriere con la terza media ha colonizzato Londra

È un controsenso Roberto Costa. È un imprenditore di successo che ha aperto 8 ristoranti, 6 a Londra, uno a Milano e uno a Genova, dà lavoro a 130 dipendenti, ha fondato un marchio («macellaio RC») eppure si definisce soltanto un cameriere. Ha abbandonato gli studi dopo la terza media eppure sa tutto del processo enzimatico di maturazione della carne durante la frollatura. Ha investito con grande profitto a Londra, eppure ha deciso in controtendenza di investire anche in Italia. Ha avuto successo, sta molto bene, eppure ha scelto di fondare un'accademia per camerieri, retribuiti per la formazione, per restituire un po' di quello che ha avuto. Non c'è nulla di quello che fa che nella mera teoria abbia un senso. Eppure rappresenta alla perfezione quel cliché del self made man che facendosi il mazzo ce l'ha fatta.

«Arrivo da una famiglia di operai. Mia madre dopo la terza media mi ha detto vai a scuola o vai lavorare. Decisi di lavorare. Quando avevo 17 anni mio padre prese un'osteria e da lì è cominciata la magia». Già, un'autentica magia. Prima tanta gavetta da garzone, poi l'avventura a suon di cambiali in svariati ristoranti, col fratello maggiore, da solo e con due soci che gli hanno permesso di mettere su una catena in diverse città italiane. Poi, ora, di nuovo in solitario, da Londra a Genova passando per Milano. Una gavetta che lo ha portato oggi, che di anni ne ha 45, a guidare un'impresa florida e strutturata ma anche a trasformarsi in mecenate per chi ha voglia di iniziare un mestiere. Così è nata l'idea di creare a Londra un'accademia per giovani camerieri italiani che possono apprendere l'arte di un lavoro troppo spesso svilito. «Al giorno d'oggi tutti vogliono fare lo chef ma fare il cameriere è meraviglioso», spiega Costa. Un'occasione per trovare lavoro in un momento in cui il tema del lavoro è e resta centrale. Ma come funziona questa accademia? «Garantiamo un alloggio a prezzo agevolato, il vitto ovviamente è a carico nostro, offriamo un corso di inglese due volte alla settimana patrocinato dalla camera di commercio. E alla fine nelle tasche dei ragazzi restano circa 600-700 sterline ogni mese». Giovani retribuiti per imparare un mestiere con l'occasione concreta di trovare un lavoro al termine del corso. «Il mio lavoro mi piace tantissimo e mi ha dato tantissimo. Troppe volte viene visto come lavoro di ripiego quando invece dà opportunità impressionanti, ti fa conoscere tante persone e apre tante porte. Il mio primo socio l'ho conosciuto proprio così, prestando servizio al tavolo».

Il corso presso la «RC academy» ha la durata di 3 mesi dopodiché si può essere direttamente assunti presso i ristoranti della catena o in altre strutture in qualche modo convenzionate. L'unica caratteristica richiesta, oltre alla naturale voglia di apprendere, è quella di essere italiani. Discriminazione? No, tutt'altro. Alla base di questa scelta c'è una motivazione tremendamente concreta. Tra i camerieri italiani e quelli inglesi non c'è gara. I nostri vincono senza appello. «Nel nostro dna abbiamo il cibo e il vino, grazie alle mamme e alle nonne. Impastare la domenica era quasi un'abitudine per tutti noi. Abbiamo l'attitudine innata dell'ospitalità. E poi avere una sala tutta italiana rende più credibile un concetto di ristorante italiano». No, non c'è razzismo verso gli inglesi. Quasi sempre sono loro ad autoescludersi. «Gli inglesi semplicemente non vogliono fare il nostro mestiere conferma Costa - Se decidono di farlo vanno nei pub. Nei nostri ristoranti di Londra abbiamo avuto in questi anni circa 1500 ragazzi che hanno lavorato con noi e gli inglesi sono stati soltanto 3. Non perché non li vogliamo, li accoglierei a braccia aperte ma non vengono...».

E allora, spazio ai ragazzi italiani, storicamente attirati da opportunità di lavoro in una metropoli viva e vitale come Londra. Nonostante la Brexit. Sì perché l'uscita dell'Inghilterra dalla Ue ha messo in agitazione anche i moltissimi nostri connazionali che vivono a Londra. E anche chi ha investito all'ombra del Big Ben ovviamente sta vivendo questo momento con preoccupazione e un pizzico di allarme. «Dal giorno del voto mediamente c'è stato un calo del valore della sterlina del 10-15% - spiega Costa I ragazzi hanno paura e scelgono di non venire più a Londra, c'è grossa incertezza e allora scelgono altre mete. Questi sono già fatti acquisiti». Ma è proprio nelle difficoltà che si riescono a trovare opportunità inaspettate. «Molti ristoranti un po' improvvisati hanno già chiuso. Qualche ramo secco è stato così tagliato portando paradossalmente vantaggi a chi lavora bene, non in nero e con organizzazione. E poi per i ragazzi... Oggi è il momento migliore per venire a lavorare a Londra. C'è un'offerta altissima, si trova lavoro con uno schioccare di dita. C'è carenza di personale perché la manodopera è scappata. E Londra è una città in cui vige la meritocrazia. Il mio attuale operation manager è stato assunto 6 anni fa come bar tender». Eppure aprire a Londra nel 2012 non è stato facile. Un ristorante italiano, in uno dei quartieri più sofisticati della capitale britannica che offre solo e soltanto carne piemontese d'altissima qualità, controllata e certificata, e specialità tipiche tricolori. I primi mesi difficili, la diffidenza e il pregiudizio dei londinesi. Fino a una recensione estremamente positiva su uno dei principali quotidiani britannici, il trend che cambia di colpo e il successo.

La ricetta vincente? È doppia, un po' italiana e un po' britannica. «A Londra ho portato la passione per il prodotto di qualità, l'italianità della cucina. Mentre in Inghilterra ho imparato la gestione del back office. Ho sempre lavorato a norma, ma con un software abbastanza elementare. A Londra ho trovato dei sistemi gestionali che in Italia non si sono mai visti e sembrano arrivati da Marte e permettono una gestione in tempo reale che calcola alla perfezione ogni incidenza, senza sprechi di nessun tipo». E quindi ecco il mix perfetto. La qualità italiana, l'organizzazione britannica. Aprendo, in controtendenza, anche in Italia. A Milano e nella sua città natale, Genova. Per lasciare un marchio di qualità anche nel suo Paese, sempre mantenendo il controsenso che lo caratterizza.

Perché se gli chiedi se ora, almeno ora, si sente un imprenditore lui risponde senza dubbi. «No, mi sento ancora un cameriere, sempre dalla parte del cliente. Con più responsabilità ma sempre un cameriere». Ambasciatore d'Italia al servizio di sua maestà. E anche viceversa. Già, un controsenso.

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